... Nelle molte giornate del cammino da effettuare, ve ne saranno di radiose e di necessariamente in ombra ed è principalmente in queste che il pubblico dovrà farse maggiormente sentire vicino agli atleti. Il campionato non si arresta né alla terza, né alla quarta domenica [...] quindi: avere fermamente fiducia! La vittoria, ne siamo certi, bacerà ripetutamente il nostro vessillo... Luigi Ridolfi

venerdì 8 luglio 2016

Zariquiegui - Cirauqui

Lasciamo l'albergue e usciamo dal paese in appena due minuti, cominciamo la salita verso l'Alto del Perdono con la nebbia che ci nasconde il panorama e ci avvolge bene con un abbraccio fresco e pungente, il caldo asfissiante di ieri che ha accompagnato i sogni di stanotte sembra fortunatamente un ricordo.
E' un vero e proprio muro bianco.. il sentiero è acciottolato, il dislivello che ci mangiamo per colazione dura poco e il rumore delle eliche aumenta mano a mano che ci avviciniamo alla vetta.
Ci ritroviamo la dove il cammino del vento si incrocia col cammino delle stelle, in fila con i pellegrini di metallo che compongono il monumento a loro dedicato, sono appena le sette e trenta e sulle prime rimango un po' basito, come al solito le foto e l'immaginario collettivo mi avevano creato le stesse aspettative che andarono deluse per la Cruz l'anno scorso, ma forse è giusto così, non conta l'apparenza, non è la forma, ne le dimensioni.. non serve impressionare nessuno.. è il pensiero, è quello che hai in testa che diventa importante, grande.. senza alcun confronto.. giusto per il peso che assume nel tuo intimo, legandolo al momento che stai vivendo.. ecco chi fa la differenza.. quello che provi, non quello che vedi.
Finiamo un ipotetico rullino in varie pose e riprendiamo il nostro percorso scapicollandoci per una discesa dopo aver riempito occhi e cuore con lo spettacolo infinito che la terrazza naturale ci regala una volta superata la nebbia, sono le 8 quando ci arrivano alle spalle i primi raggi tiepidi del sole che pare finalmente averla vinta, la terra rossa e sconnessa, il dislivello e soprattutto le dita dei piedi che puntano infami dentro gli scarponcini per almeno mezz'ora rendono il tutto una piccola passione che sembra non aver fine.
Riprendiamo l'equilibrio della bolla e rimettiamo l'orizzonte all'altezza giusta, Sergino mi regala una ventina di minuti di teoria sul mondo del subbuteo, gioco d'infanzia a me ignoto.. Il prof invece sembra saperne più di qualcosa e da buon insegnante non si risparmia nel raccontarmi perle, regole e aneddoti che gli hanno riempito pomeriggi interi quando ancora la playstation non era neanche nella testa della Sony e probabilmente la nostra fantasia galoppava, si creava e cresceva autonomamente, ma soprattutto ci riempiva le giornate di curiosità che rischiamo troppo spesso di annullare.
Un'altra mezz'ora e attraversiamo Uterga.. l'ora e lo stomaco ci direbbero colazione, ma non così convincenti.. decidiamo di rimandare al paese successivo, la camminata è passeggiante, l'attenzione cala e la leggera pendenza ci da l'abbrivio per un'andatura fatta d'inerzia.. prendiamo d'infilata l'asfalto che ci si disegna davanti senza farci le mille domande che ad ogni piccola curva avrebbero riempito le nostre teste ansiose, ci allontaniamo dal paese fin troppo tranquilli, a mano a mano che l'uscita diventa piccola alle nostre spalle, lasciandoci soli ad occupare la statale, comincia però leggera a farsi largo la sensazione di aver sbagliato direzione.
Sergio la prende larga e la tocca piano:".. l'hai viste te le frecce gialle, vero?..", io.. qualche metro avanti, non mi giro neanche, in realtà non ho visto ne frecce, ne conchiglie.. però tengo botta e orgoglioso abbozzo un:"..no, ma era l'unica via possibile.." facendo leva sulla lontananza oramai incolmabile da Uterga.. ma il prof attento non me la perdona:"..e allora che ci fanno quei tre lassù?" mi chiede indicandomi col bastoncino un gruppetto di pellegrini che si staglia sulla nostra sinistra su uno zerozero a un centinaio di metri da noi.. viaggiano paralleli a noi, poco più alti.. per un attimo penso che siano loro ad aver sbagliato, ma è palese il contrario e non mi non resta che ammettere l'errore, fortuna che andiamo tutti nella stessa direzione.
Ci grattugiamo gli scarponcini per tre km di asfalto prima di rientrare in coda ai tre alle porte di Muruzabal.. le indicazioni per il bar ci sono, ma il paesino pare abbandonato.. tutto chiuso, niente colazione, proseguiamo per uno sterratone parallelo alla provinciale fino a Obanos, che ci aspetta con il succo e la tortilla apparecchiati in cima a una pettatina che a stomaco ancora vuoto risulta oltremodo devastante.
Incrociamo il cammino Aragonese che parte da Sonport, al di la dei Pirenei, a metà salita chiudo gli occhi, provo a farmi guidare dal ritmo dei bastoncini che oramai gestiscono le mie gambe.. il ginocchio si lamenta sottovoce lasciando spazio allo stomaco per le questioni più serie.. siamo alle soglie della contestazione e io non so come dargli torto.
Chiudiamo la colazione con un po' di ghiaccio che ci allieva i vari doloretti da pellegrini poco allenati.. la generosità della barista ci riempie due sacchetti della spesa che non si scioglierebbero neanche nel deserto, ci rimettiamo in marcia che sono quasi le dieci e il caldo asfissiante risveglia velocemente i ragazzetti che a tratti sembrano sparire.. il lancio dei cubetti di ghiaccio si trasforma presto in una vera e propria guerriglia  che non fa vittime ma ci fa affrontare in scioltezza i restanti tre km fino a Puente de le Reina.
Un paio di timbrini e ci ritroviamo a sedere in pieno centro.. una calle mayor di un paio di km che ci allunga il passo fino al ponte che da il nome al paese, altri 7km e siamo a tappa.
Ripartiamo con due birrette che risuderemo con i prossimi dieci passi, l'ora batte le quattordici e dopo un breve falsobastardopiano inizia il dislivello che termina la tappa, allentiamo la fatica con un buon racconto sulla breve ma intensa carriera musicale che ha visto protagonisti i vari Kitsch, i Goccia e le successive evoluzioni di chi ha cominciato giocando ed è andato vicino a far le cose a modo, racconti di adolescenti che han cominciato a cantare divertendosi e si son ritrovi adulti mentre scrivevano testi e accordi musicali.
Ci soffermiamo quando il dislivello ci presenta un vero e proprio muro.. sterrato bianco, temperatura da bagnasciuga e tanta sete solo al pensiero.
Ci allunghiamo sulla salita, perdendoci per poi ritrovarci a Maneru.. il lavatoio a metà paese sembra un'isola felice, un vero e proprio miraggio.. un sogno.. mi ci abbandono volentieri bagnandomi più volte cappello e capelli.. pochi minuti e arriva il prof.. evitiamo la ripartenza CAI e allunghiamo la sosta di qualche minuto ancora, giusto il tempo per ascoltare un paio di annunci dall'altoparlante del campanile che informano la cittadinanza sulle prossime iniziative organizzate dalle socialità locali.
Tre km di muri a secco, vitigni e oliveti ci riempiono gli occhi prima di entrare a Cirauqui, un paesino degnamente arroccato in cima a una collina, l'albergue ovviamente è a fine paese, nell'ultima piazzetta utile, ci arriviamo stremati, sudati e sfiniti perfino nell'animo.
Sergino si fa largo oltre la tenda d'ingresso, io gli calpesto i passi appena liberi e mi fermo solo quando l'ombra mi regala sollievo, l'hospitalera pare li che ci aspetta da ieri, il prof si schiarisce la voce e le dichiara:"habemus reserva!" in uno spagnolo oltre il limite del dignitoso, ma soprattutto del latino.. Serena, l'hospitalera veronese che gestisce l'albergue, ci accoglie col sorriso e ci ripaga con un chiaro:"siete italiani?", la stanchezza vince su tutto e annuiamo sorridendo.
Una cerveza in terrazza dopo la doccia, la spesuccia per la colazione dal buon Teofilo Moreno, che da queste parti è chiaro non tema concorrenza e la cena è servita alle 19.. Ci ritroviamo a tavola con un napoletano, un londinese e due tedesche.. sulle prime è uno show partenopeo, poi riusciamo a farci largo senza però mai oltrepassare il perimetro che il pellegrino campano aveva già delineato attorno agli astanti.. si capisce che ha i fili della conversazione, probabilmente pure della nostra perché finiamo occhi stanchi per accompagnare la serata con una serie infinita di accenni e di inchini mentre i quattro commensali cercano di svincolarsi con un inglese indubbiamente migliore dello pseudo spagnolo con il quale ci siamo presentati noi a Serena. 

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