... Nelle molte giornate del cammino da effettuare, ve ne saranno di radiose e di necessariamente in ombra ed è principalmente in queste che il pubblico dovrà farse maggiormente sentire vicino agli atleti. Il campionato non si arresta né alla terza, né alla quarta domenica [...] quindi: avere fermamente fiducia! La vittoria, ne siamo certi, bacerà ripetutamente il nostro vessillo... Luigi Ridolfi

martedì 19 luglio 2016

Leon - Barcellona

Notte prima degli esami..
le reazioni sono un po' le stesse.. finisco per dormire a tratti, svenendo.. mi ritrovo occhi spalancati come se fossi sveglio da ore.. nessuno sbadiglio, neanche per sbaglio.. e sono quasi le due, la wifi al monastero va a scatti.. il prof laggiù in basso se la dorme beato, come il resto della camerata.. mi riguardo le foto di questi quindici giorni e la consapevolezza che tutto questo sta nuovamente per finire rende questa notte dolcemente amara.. il buio avvolge tutto, persino chi russa mi appare simpatico stanotte.. la luminosità dell'iphone mi spara un occhio di bue in faccia che a tratti sa di giorno pieno e so già che questo strano silenzio domani mi mancherà con la stessa forza con cui finisce per mancarti il mare l'ultima sera d'estate, quando settembre con la prima pioggia, si riprende violentemente lo spazio sul quale primavera e estate si erano inopinatamente allargate.. 
All'improvviso un rumore metallico mi cattura l'attenzione, cade qualcosa, poi qualcos'altro a ruota.. la luce dell'iphone muore contro il sacco letto e la mia testa salta a molla in un trambusto generale che anima la stanza ancora buia.. un primo "fuck", seguito da un altro ancora più rapido.. poi un terzo.. una serie velocissima, impaurita.. a mezza voce tra il silenzio rispettoso e quel poco di voce che il pericolo riesce a lasciarti mentre gli altri muscoli cercano di recuperare l'irrecuperabile.. tutto forse in cinque secondi.. una luce, poi un'altra.. piccoli riflettori s'incrociano al centro del palco.. un materasso che vola, tirato giù dal suo pellegrino che ancora impreca e a mezz'aria mulinella le braccia disperato alla ricerca di un appiglio che lo tenga a galla.. il materasso però gli è fin troppo fedele e finisce per seguirlo strattonato dalla paura.. il tonfo sordo della schienata sveglia definitivamente tutta la camerata.. l'americano cade malamente nella buca tra il mio e il suo letto e finisce faccia a faccia con il prof che, atterrito e assonnato, se lo guarda da pochi centimetri, misurandogli da lontano un destro pronto a colpire e tenendo bene alta la guardia col sinistro.. piano piano si fanno largo le risatine inevitabili e ingestibili, prima sommesse poi grasse e irrispettose, l'americano volante si rimette in piedi con la stessa velocità di quei soldatini di legno tenuti su da un elastico e chiede scusa alla camerata.. il teatrino si chiude con una serie vaffanculo misti a buonanotte e prese di culo.. tutto ordinatamente in slang.. saluto il prof, che mi risponde impastato "pensavo fosse una rissa" e qualcos'altro in una lingua tutta sua, mi accapo al piano di sotto, il vecchio non sentirebbe neanche i cannoni di navarone.. se la dorme beato, buon per lui.. io adesso posso solo provarci.
Riapro gli occhi che son passate da poco le setteemezzo.. il buon prof è già allo zaino, il resto della camerata è già in cammino verso San Martin e solo il vecchio dabbasso ancora russa come ieri sera.
Allunghiamo i tempi, rallentiamo ogni movimento.. abbiamo appuntamento al noleggio auto verso le 930.. la stanzina della colazione sembra esser stata presa d'assalto dagli Unni e ancora nessuno si è preso la briga di rimettere a garbo la tavola.. il menù è il solito di anno scorso.. pane burro e marmellata a sorpresa..
Dobbiamo ritornare in zona stazione dei pullman, poco oltre il Rio Bernesga.. il casottino dell'Avis e quello della Europe Car fanno bella mostra di se poco dopo l'incrocio, ma è ancora presto.. decidiamo di ingannare il tempo con una nuova colazione al barrettino lungo il fiume e alle 930 rispettosi ci incodiamo in attesa del nostro turno.
Presento la prenotazione della macchina, che mi è arrivata via mail, favorendo l'Iphone al tipo di là dal bancone.. questo scuote la testa dubbioso e mi ritorna l'Iphone facendomi capire che ho noleggiato l'auto alla Europe Car, al casottino accanto.. d'acchito annuisco, poi sicuro del mio fatto, ritorno sui miei passi, gli allargo il codice di prenotazione e gli dico che sono loro i noleggiatori, il tipo non ha ancora smesso di sdubbiare con la testa e rinforza l'intensità senza considerare lo schermo, invitandomi ad uscire per rivolgermi al concorrente accanto.
Guardo Sergino e con l'espressione di chi le ha appena prese ma non ne è convinto gli faccio strada, tempo di rinforcare gli zaini e siamo al bancone biancoverde.. questa volta è una donna, ma la risposta è sempre la stessa.. a direzione invertita ovviamente.. cerco di farle capire che mi vorrebbe rimandare da dove sono appena venuto e lei mi spiega che quel codice è di Avis, non suo..
Un cane bastonato e uno sdegnato che trascinano nuovamente gli zaini al casottino dell'Avis, rientriamo e senza curarmi troppo della coda mi infilo al bancone pronto a battagliare.. il tipo di prima non c'è.. il collega, un pelino più sveglio, mi inserisce il codice di prenotazione e miracolosamente appare la nostra.. le chiavi erano a due centimetri dalla tastiera, l'amico sveglio mi fa cenno di aspettare quello stupido.. sarà lui a inserire i dati e io mando gli occhi al cielo. 
Alle ore dieci, dopo aver intrecciato le nostre vite grazie ad un inserimento dati che mi vedeva residente a campi e nato a firenze, con Sergino che invece aveva la mia età ma viveva a Scandicci dalla mia ex, lasciamo Leon per un viaggio che ci farà attraversare 700 km di Spagna, passando nuovamente da Burgos, Logrogno, deviare verso Saragozza per arrivare finalmente a Barcellona.. ogni uscita autostradale ci ricorda paesini che solo qualche giorno fa erano mete lunghissime per le nostre gambe e che rinchiusi in questa quattroruote non avrebbero avuto modo di dirci le stesse cose che invece ci regalavano ad ogni arrivo.. incrociamo dapprima un meridiano, poi alcuni pellegrini che ci passano sopra la testa attraversando un ponte e Dio solo sa quanto avrei voluto gridargli forte di non mollare.. finalmente arriviamo a Barcellona che sono le 19.
Sfiniti, disabituati e rintronati da un traffico dimenticato, parcheggiamo però con grande culo, come se fossimo di casa e incontriamo Anna e Josè, i due ganci che ci affitteranno l'appartamento spagnolo a due passi dalle Ramblas.
I convenevoli vanno per le lunghe, neanche dovessimo affittare casa per la stagione, ma certi racconti e aneddoti ci fanno riassaporare il mood che avevamo appena perso, riusciamo a svincolarci dai due pellegrini dopo una mezz'oretta, quando Anna tenta ancora di raccontarci l'ennesima avventura mentre le nostre teste cominciano ad appesantirsi.. Ci risparmiamo così un po' di racconti e dopo una doccetta che aspettavamo come i bimbi aspettano il natale, decidiamo di raccogliere le ultime energie e ci tuffiamo, vestiti da pellegrini, per una rambla infinita.. caotica al punto da farci star male e finalmente tocchiamo il mediterraneo che non sono ancora le venti, di nuovo il mare a chiudere il nostro cammino, come un anno fa a Finisterre.
Tapas, vino rosado e paella a brindare da turisti la fine di questa seconda nostra parte pellegrinaggio che non poteva riservarci migliore appendice.. ci godiamo la vista, il relax e la sensazione da primo giorno di ferie.. quelle alle quali siamo socialmente abituati.
Decidiamo che allungheremo il ritorno.. Sergino mi porta a vedere la Sagrada Familia, appena in tempo prima che il buio ce la nasconda e ritorniamo sfiniti verso l'appartamento che siamo già alle prime battute del domani.. l'adrenalina oramai è andata e camminiamo solo perché dobbiamo arrivare.. un ultima tappa urbana di quasi sedici km..
Ci ritroviamo oltre il portone del condominio, nuovamente al buio, davanti a me le scale sulla destra.. il nostro appartamento che ci aspetta al secondo piano, dopo due rampe strette, ripide e malmesse per i lavori di ristrutturazione in corso.. e una porta di casa e un pulsante sulla sinistra.
Mi giro verso Sergio.. le scale al buio sono improponibili, il pulsante è fin troppo vicino alla porta del primo appartamento, ma non ci sono targhette.. Sergino mi da l'ok.. "anche se fosse il campanello che vuoi che sia".. il sonno, il vino rosado e i 700km insieme si coalizzano contro la razionalità e senza timore scampanello bene bene.. la luce ovviamente non si accende e il campanello comincia a suonare come se fosse mezzogiorno.. mi sento andar via il sangue dalle vene, sbianco e non faccio in tempo a girarmi che mi sento spingere a più riprese, incalzato da una vocina sommessa che mi grida sottovoce di andare rapidamente almeno tre volte.. salto sulle scale.. me le mangio a quattro a quattro, le infradito aumentano il livello di difficoltà, ma Sergino non ne vuole sapere ed è li che spinge ad ogni mia indecisione.. i movimenti di due elefanti e il calpestio di un'armata bracalone.. arrivo alla porta di casa che ho il fiato corto.. dabbasso un lamento spagnolo si avvicina alla propria porta e urla qualcosa di incomprensibile.. la paura che l'inquilino infili le scale e voglia farsi giustizia da solo, miglior trama horror non la potevamo immaginare, aumenta il mio ansimare sconnesso, il battito accelerato del cuore mi tamburella fin nelle orecchie, oramai è panico da cazzata.. le chiavi le ha Sergio che arriva di gran carriera.. sentiamo il traguardo vicino e cominciano a farsi largo le risatine isteriche di chi l'ha scampata per un pelo.. riusciamo ad entrare in casa, chiudiamo rapidamente la porta e giriamo tutti i chiavistelli possibili.. giù nuovamente l'adrenalina, silenzio.. il condominio ripiomba in un silenzio assoluto.. una porta cigola, ci blocchiamo come marmi sul posto.. ma è un rumore che viene dalla nostra cucina, dal basso continua ad arrivare solo silenzio.. il pericolo è scampato, possiamo riprendere a respirare con un ritmo normale e lasciamo che le risate prendano il largo disperdendosi per l'appartamento in un mormorio liberatorio.
La notte se ne va veloce.. ci svegliamo che il sole è già entrato prepotente nell'appartamento.. mi avvicino alla finestra, appoggio la fronte al vetro.. il traffico già scorre lento sulle quattro corsie.. così lontane dallo sterrato bianco.. i vigneti infinti della Rioja, Pamplona con i suoi tori, Logrogno, Burgos ma anche e soprattutto  Ciruena, Ventosa, Acacio e Orietta, il priore e Niccolò.. il dottore e il suo traduttore.. Serena, Ellen, la nonna con la nipote, il Francese di Larrasoana, Roncisvalle e Barbetta che ci accolse a Saint Jean Pied de Port sono quasi già un lontano ricordo.
Il resto è un rimettersi in coda al checkin dell'aeroporto consapevoli che queste avventure qua hanno avuto un inizio ma non avranno più una fine, solo piccole e doverose interruzioni..
Quel che abbiamo costruito, calpestato e raggiunto in questi due lunghissimi anni non è altro che il punto di partenza per nuovi percorsi altrettanto avvincenti, tracciati storici e giornate di spensierate camminate che continueranno a riempirci cuore e testa come non era mai accaduto.

lunedì 18 luglio 2016

Burgos - Leon

le tre e gli occhi puntano il soffitto..
poi svengo un paio di volte e mi ritrovo nuovamente a rimirare il soffitto che non è passata neanche un'ora..
Ore 7, bisognerebbe alzarsi, che qui in albergue alle 8 fanno fare cartella a tutti.. e io vorrei dormire, non riesco a tenere gli occhi aperti.. beffardi..
Raggiungiamo il Paseo Espolon, un viale alberato che costeggia il fiume, vero e proprio corridoio che accompagna turisti e pellegrini alla maestosa piazza della cattedrale.. abbiamo l'ampia scelta che ripaga quelle obbligate degli ultimi dieci giorni e finiamo a far colazione rallentando persino il movimento mandibolare.. è una colazione da borghesi.. un rientro nei panni di quelli che siam stati dolce, senza fretta.. ci sono ancora un po' di ore da dedicare al nostro pellegrinaggio, ma quella del rientro è fissata ed è sempre più vicina, in realtà non c'è una gran voglia di tornare, conosciamo già il distacco, il suo peso e lo abbiamo già patito l'estate scorsa, ma la ragione spesso vince sui sentimenti, spesso, ma non sempre.. si tratta di battaglie.. e sarà sempre un bellissimo tornare la dove il cuore batte al ritmo più giusto e i passi calpestano il tracciato preferito.. regalandoci la sensazione viva di essere giusti nel posto giusto, dove tutto intorno sparisce.. e finalmente tutto ha il sapore del meraviglioso.. è una sensazione forte che ti aggancia, non ti molla e non ti farà più allontanare.. non col cuore, perlomeno.
Non ho voglia di restarmene fermo a sedere, è una giornata strana oggi.. ci aspettano tre ore di pullman, un'infinità senza le nostre gambe a comandare.. e sei milioni di fermate.. praticamente  ovunque prima di Leon.. cerco di stancarmi ripestando gli stessi passi di ieri.. allungandomi oltre quel confine immaginario dove il centro storico lascia spazio alle periferie tutte uguali.
Finalmente si parte che manca un quarto alle undici.. è un vero e proprio viaggio della speranza.. un continuo saliscendi dall'autostrada.. mille e mille fermate ad attraversare mesetas e piccole frazioni che avremmo potuto incocciare e apprezzare solo camminando.. ogni tanto ci appaiono zaini e scarponcini, dapprima minuscoli, poi sempre più grandi, uno zoom a motore che ce li imprime negli occhi, ce li fa squadrare da ogni angolazione prima che spariscano altrettanto rapidamente alle nostre spalle, spinti via dalla velocità del pullman.. e io non faccio altro che ammirarli, invidiarli e fare il tifo per loro non nascondendo quel sano senso di colpa che mi fa apprezzare i miei ultimi giorni a piedi.
Riappare Leon e per incanto torniamo con la mente a un anno esatto fa.. per un attimo riviviamo le stesse sensazioni.. rivediamo la stazione dei pullman che si avvicina.. scendiamo, ma non siamo più spaesati.. c'è la voglia di ritornare da dove è partito il nostro cammino.. ricerchiamo il monastero seguendo la memoria.. ognuno tira per la sua, senza però mai lasciarci e ci ritroviamo quasi in centro ognuno convinto di aver la destinazione certa e sicura in mano.. ciascuno con la sua.. ci seguiamo solo perché oramai è abitudine.. ma dovessimo seguire l'istinto, andremmo uno a destra e uno a sinistra..
Sono le due del pomeriggio, ci sono trentadue gradi e come anno scorso, ne percepiamo molti meno.. il nostro itinerare a suon di memoria finisce poco dopo.. eccolo il monastero de las benedictinas.. con la sua enorme porta.. ci entriamo quasi fingendo apatia, nonostante lo stomaco e il cuore se la ridano contenti per il ritorno a casa.. la nostra prima casa spagnola.. e andiamo sicuri dritti al solito tavolino per espletare le formalità burocratiche di rito, anche stavolta ci arriviamo in pullman, ma i nostri scarponcini quest'anno son polverosi al punto giusto, siamo arrivati comunque da pellegrini.. ed è un anno che camminiamo per tornarci... nessuna differenza.. se non dentro di noi.
Finiamo per pranzare alla mensa che sono le 1530.. è un piccolo ristoro che ci da il la giusto per collassare definitivamente fino alle 18.. ognuno sulla propria branda.. stavolta nella stanza accanto a quella in cui passammo la prima notte, stavolta per la prima volta su due letti diversi.. anche qua dentro nulla appare diverso.. i letti a castello, i ventilatori sempre accesi per far circolare due lire d'aria.. un po' di mobilia eterogenea e vintage sulla quale lasciare i nostri zaini, l'ingressino con centinaia di scarponcini e la stanzino per la colazione che a quest'ora sa già di caldo.. e mi rendo conto che solo quest'anno ho capito che questa è l'ala maschile..
Il resto del pomeriggio che ci aspetta dalle 18 in poi è tutto un perder tempo per avvicinarci a domattina.. nessuno dei due lo dice, ma è così.. girelliamo ciabattando a vuoto per viuzze già note alla ricerca di piccoli pensieri da riportare a casa e un posticino per sfamarci stasera.. non ci convince nulla finché sulla via del ritorno non troviamo un'osteria ancora deserta che però, oramai ultima spiaggia, ci cattura come una calamita e vince le nostre remore facendoci rialzare un paio d'ore dopo beatamente sazi e soddisfatti.
Un quarto alle dieci.. il monastero è due passi, ripestiamo i pietroni della piazza antistante dove ci fermammo a riempire le borracce per la nostra prima uscita e lasciamo sfilare i pellegrini che vanno a meritarsi la messa a loro dedicata.. ci basta un occhiata e decidiamo che quest'anno tocca a loro, noi preferiamo lasciare il passo, la branda ci aspetta.. ma soprattutto abbiamo 700km di autostrada per arrivare a Barcellona..

domenica 17 luglio 2016

Atapuerca - Burgos

Rilassatini, cominciamo a sentir l'odore dell'arrivo, la bandiera a scacchi di Burgos è laggiù alta che sventola, che ci indica il traguardo e soprattutto l'unico bar del paese apre alle 7..
Ci ritroviamo intruppati con altri pellegrini nell'aia antistante l'ingresso, un po' come quando aspettavamo l'uno alla stazione per andare a scuola.. tutti con lo zaino, un po' assonnati e ancora poca voglia di incamminarci.
Partiamo una mezz'oretta dopo.. e ci lasciamo alle spalle Atapuerca infilando lentamente una salitina che resterà l'unica di tutta la tappa; neanche tocchiamo metà collina che il tracciato ci viene sbarrato da un anziano che cammina nella direzione opposta alla nostra, ha già intercettato un paio di pellegrini ma sembra aspettare anche noi per dirci qualcosa che non possiamo non sapere prima di continuare.. 
Una volta certo dell'attenzione di tutti ci sviolina una serie di palabras quasi totalmente incomprensibili per noi, un po' per lo spagnolo stretto, un po' per una dizione ovviamente legata a un passato ormai superato dallo spagnolo corrente.. e finisce col proporci un'alternativa al percorso ufficiale.. non troppo chiara, soprattutto la motivazione.. ci basta una sguardatina e il nostro tradizionalismo ci fa rifiutare la busta e continuiamo.
Arriviamo alla vetta della collina che son le 815, mille metri tondi tondi e il fiatone di chi è stato preso d'infilata e si è visto passare l'autobus sotto il naso.. il panorama che ci si apre davanti è a sedicinoni.. tocca far da spettatore di una partita di tennis per apprezzarne la vastità, da qui in poi è una discesa unica.. Burgos sullo sfondo appare più vicina di quanto sia in realtà.. e soprattutto enorme  se confrontata con i paesielli finora incocciati.. 
A metà discesa prendiamo per Villaval dove ripeschiamo il francese con il quale cenammo la sera della semifinale degli europei a Larrasoana, ci salutiamo da vecchi amici e lui, orgoglioso ci presenta una francesina che lo accompagna.. il tempo di scambiar due parole, Sergino neanche riscalda il suo francese che ce lo perdiamo all'orizzonte, felice e rapido come una lepre in una Milano-Sanremo.
Digerita la disfatta francese, rientriamo nei campi di grano fino a Cardenuela Rio Pico.. sono le 9 e ci prendiamo una sosta a Orbaneja.. primo agglomerato un pochino più serio, già si respira aria di periferia.. Ci sediamo fuori da un bar, non facciamo in tempo ad entrare che arriva la nonna norvegese, la tosse finalmente sembra averla abbandonata.. traccheggia giusto cinque minuti con noi e riparte.
Dieci minuti neanche e arriva la nipote, finalmente mi si chiarisce la relazione e la storia, tutta nordica.. la nonna che raggiunge Santiago con la nipote diciassettenne, a tappe in completa autonomia.. un'indipendenza che in Italia neanche la penseremo. Adesso siamo noi a ripartire e raggiungiamo un bivio che ci introduce la zona industriale e stavolta siamo noi a preferire la deviazione che la evita portandoci a camminare lungo l'aeroporto di Burgos..
Un ciclista ci supera e ci ritorna affiancato per spiegarci la strada che dovremmo ritrovare una volta in città.
Il caldo diventa asfissiante.. è quasi mezzogiorno e il sole da lassù ci punta la testa senza pietà.. attraversiamo il ponte a Castagnares e ci infiliamo per la ruta del rio che ci apre per le Cascine di Burgos, un parco fluviale che si estende seguendo il fiume Arlanzòn, tagliando di fatto in due la città.
Ho il ritmo giusto per l'arrivo trionfale e soprattutto il fiato corto e il passo macchinoso di chi sa che se si ferma non riparte più neanche spinto, Ellen rallenta, fa capire che preferisce descansar e Sergino l'accontenta.. io proseguo, ci diamo appuntamento all'albergue municipale, mi mangio una serie infinita di ponti che mi lascio sulla destra fino ad attraversarne uno, quello del Cid che mi regala la spettacolosa piazza della cattedrale.. una meraviglia che riempie gli occhi e merita la fatica appena sopportata.
Non riesco ad aspettare Sergino, ho bisogno di una doccia, un bagno, un letto e lasciare andare lo zaino.. l'albergue sarà anche municipale ma è tenuto come fosse aperto da oggi, mentre mi preparo per la doccia mi si accapa pure l'hermano, Ellen ha prenotato un albergo vero e proprio e ci ha abbandonato, definitivamente scopriremo poi dopo..
Il polpo alla gallega ci rifocilla degnamente e decidiamo di evitare il caldo oramai padrone della città infilandoci per un tour con tanto di guida audio della cattedrale.. l'inizio è un po' come in prima superiore.. alunni modelli, ascoltiamo tutto, non ci perdiamo neanche una virgola, una colonna, un dipinto.. poi al centesimo trafiletto ci ritroviamo seduti su una panca con mezza cuffia sul collo e la voce che ci descrive un qualcosa di oramai perso per i meandri dell'enorme cattedrale.
Riusciamo che sembra passata una giornata intera, in realtà il sole è ancora alto, il caldo è sempre pesante e oggi il tempo sembra essersi fermato appena toccate le una.
Troviamo, non con senza fatica, la stazione dei bus; la nostra Santiago per questo duemila16 è Burgos, il pullman partirà per Leon domattina alle 1030 e ci mollerà a in Castiglia tre ore più tardi esattamente come un anno fa. Finiamo per galleggiare poco dopo le 18 a strasciconi per il centro di Burgos ingannando il tempo prima in un mercatino dell'artigianato, poi sgranocchiando lentamente uno degli aperitivi più affollati di sempre.. le città spagnole ricominciano a respirare e a vivere solo dopo una certa ora e lo fanno come se dovesse iniziare un film al cinema, affollando ogni tavolino, ogni locale, ogni piazza.
Son le 2150 quando ci trasciniamo verso l'albergue, traslochiamo l'uno nel letto dell'altro per mantenere la disposizione di sempre nonostante l'hospitalero abbia tentato di sistemarci diversamente. 
Il tempo di prepararci e di realizzare che oggi è la penultima serata.. un po' di magoncino perché la fine si avvicina.. e quei ragazzi che ancora hanno altri quattrocento km davanti quanta invidia ti fanno.. ma non ho modo per approfondire pensieri malinconici che morfeo ha la meglio su di me.

sabato 16 luglio 2016

Villafranca Montes de Oca - Atapuerca

Sergino pare ristabilito, scendiamo al bar e da texani ci facciamo una colazione al banco.. ci troviamo già Niccolò che parlotta seriamente con il barista di turno, ci affianchiamo, i fatti di Nizza coinvolgono tutti.. abbiamo un'intermedio di dodici km senza possibilità di soste, l'ideale sarebbe una bella sostanziosa prima colazione, ma il prof è reduce da una battaglia intestina che lo limita e da bravo ripiega sul teino con broscina vuota, leggera.. la fame lo aggredirà, lo avviso e lui annuisce confidando però sull'instabilità che lo accompagna da ieri pomeriggio.
L'abbrivio ci presenta subito una pettatina sterrata.. di breve durata, ma intensa.. che la colazione ce la  giochiamo subito.. entriamo finalmente nel bosco e il sole fa appena appena in tempo a sfiorarci.. riappaiono le felci, l'umidità e la nebbiolina tipica di queste ultime mattine.
Tengo la testa, Sergino mi segue a ruota, una ruota lenta.. ed io tengo il passo lento per non perdermelo, il convalescente però mi fa cenno che c'è ed io allungo la falcata e rendo agevole il cammino... ogni tanto mi fermo, il silenzio del bosco mi aiuta a sentire il ticchettio ritmato dei suoi bastoncini e tanto mi basta per ripartire.. finiamo per allungarci e anche le mie soste diventano fin troppo impegnative, non lo sento più e mi aiuto con la tecnologia.. ci scambiamo un paio di messaggi.. lo bado da lontano.
820, esco dal bosco, lo sterrato si fa bianco e il panorama si apre fino ad arrivare al monumento dei caduti della seconda guerra mondiale per poi rituffarsi in un discesone che prende piano piano il color rosso mattone per rientrare nuovamente nel bosco..
Incoccio Ellen, la statunitense di Seattle che mi viene inspiegabilmente incontro perché il tracciato secondo lei è fin troppo largo per esser quello giusto, così proseguiamo insieme.. chiacchieriamo un po', ci conosciamo meglio.. spaziamo da Donald Trump, che sdubbia un po' mezzo mondo, lei compresa, a Matteo Renzi, che sdubbia solo me per arrivare a parlar piano dell'attentato di Nizza e il colpo di stato che si è consumato questa notte a Istanbul, intanto Sergio mi avvisa che sosterà all'oasi che abbiamo incrociato una mezz'oretta fa.. il ragazzo c'è e ci diamo appuntamento a San Juan de Ortega, prima unica tappa utile da stamani.
Ore 10eunquarto, il paesiello è un vero e proprio pugno di case anticipato da una bellissima chiesa, grande praticamente quanto l'agglomerato che la circonda.. ritrovo Niccolò e dopo un quarto d'ora si aggiunge al relax pure Sergino, provato ma presente.
Ripartiamo quasi un'oretta dopo, la chiesa meritava una sguardatina.. lasciamo Niccolò e ci diamo appuntamento per il pranzo ad Atapuerca.
Il percorso prende una pendenza leggera che ci fa attraversare un'abetaia che odora di dolomiti.. lo sguardo si riempie del panorama che ci viene regalato, finiamo in vetta ad uno zerozero che piano piano riscende attraversando un pascolo di vacche e vitellini.. laggiù in basso Ages ci aspetta ed io mi vedrei bene affiancato prima o poi da Peter e Heidi.
Entriamo ad Ages in due e ne usciamo in un batter d'occhio in tre.. Ellen, che ci aveva seminato in mattinata, se ne stava beatamente sdraiata su una panchina lungo il percorso.. mancano solamente 3km a Atapuerca e la vediamo nitidamente già da qua.. altra manciata di case.
L'albergue è ancora alle fasi di preapertura, ci liberiamo degli zaini e sfoggiamo finalmente le infradito da descanso. La coda si ingrossa, arriva anche l'anziana che tossisce con la figlia, ma gli europei finiscono in minoranza con l'arrivo di un gruppone di orientali che ovviamente evitano l'integrazione occupando peraltro ogni spazio utile.
E' un modulo assemblato, una casettina in legno con quattro o cinque stanze con almeno 6 letti ciascuna, la densità è altina.. par d'essere in campeggio e per fortuna l'area all'aperto ci permette di distribuirci garantendoci l'aria che all'interno sembra razionata.
Sergino preferisce non forzare e si rimette a letto, io e Ellen andiamo in perlustrazione.. un giro turistico che termina dopo appena venti minuti, consci di non aver perso neanche un metro quadro del paese che risulta a tutti gli effetti tristino e poco avvincente.
Lascio Ellen al primo e unico barrettino utile per recuperare il prof che però rimanda il tentativo di pasteggiare a ore migliori.. Quando ritorno al bar mi ritrovo all'interno di una tavolata di americani, le risate si sprecano e l'attore principale è un italiano.. Niccolò pare aver incontrato il favore degli statunitensi e complici un paio di cerveza il teatrino è fatto.
Il resto del pomeriggio è riempito da un nuovo giretto un po' più allargato che ci porta al confine con una vallata che appare infinita, che muore lontanissimo, dolcemente.. il tramonto fa il suo gioco e il nostro ciabattare lento mi fa riassaporare alcuni momenti andati di fine estate.
La cena scorre via velocemente nell'unica trattoria del posto.. ci convinciamo definitivamente che il volo di ritorno da Santiago lo dobbiamo considerare perduto, non ci rientriamo con i nostri tempi, arriveremo a Burgos solo domenica e il primo pullman utile è lunedì mattina.. decidiamo quindi di chiudere il cerchio saltando ahimè le mesetas, arrivando direttamente a Leon per ritrovare il Monastero che ci ospitò, novelli pellegrini, per la nostra prima notte in terra di Spagna un anno esatto fa.. la desolazione che si respira durante la cena non ci abbatte, ma siamo gli unici avventori in tutta la serata, non oso pensare alla bassa stagione, Atapuerca è l'ennesimo paesino che dovrà sempre ringraziare i pellegrini che decisero questa via piuttosto che un'altra per raggiungere Santiago.
Sergino sta un po' meglio, ma sembra patire il finire del cammino.. il ragazzo è delicato, ma saprà riprendersi il proprio ruolo nel corso delle prossime tappe.

venerdì 15 luglio 2016

Viloria de Rioja - Villafranca Montes de Oca

Mi sveglio che ho ancora la testa piena delle parole di ieri sera.. i pensieri si mescolano con la fantasia, la speranza che non si limiti tutto ad una sera profuma di eroico, ma fa bene crederci.. aiuta i polmoni ad aprirsi come quando riemergi dall'acqua.. rinforza persino le difese immunitarie per dirla tutta.. l'invincibilità dei supereroi diventa roba tua e hai in tasca la soluzione a tutte le disparità, le disuguaglianze e le storture di questa amara società così lontana da quella sperata, poi apri gli occhi, ti resta difficile rimanere a letto e soprattutto pensare che la fuori è tutto completamente diverso da quel che hai visto fino a ieri sera.
Decidiamo per la colazione comune.. Acacio non si vede, è a far conferenze su e giù per il portogallo e ha lasciato Orietta a sfaccendare.. dal sogno spagnolo a desperate housewife il passo per lei è stato breve, lo sente tutto e non fa niente per nascondercelo.
Arriviamo al momento del pedaggio.. il rifugio è gestito in modalità donativo e per due indecisi come il sottoscritto e il prof non c'è sfida più mortificante.. il dubbio non solo ci assale, ci aggredisce e riesce ad averla vinta passando dall'ingresso, senza fare morti ne feriti.. un po' come gli americani quando sbarcarono in Sicilia. Ci facciamo guidare dalla media degli albergue finora incontrati e decidiamo di lasciar giù poco più di venti euro.. ci sosteniamo a vicenda nella scelta e finiamo di prepararci per la partenza quando con la nonchalance tipica dei nordici ci passa davanti la danese che sventola senza troppa difficoltà una banconota da cinque euro.. il silenzio cade impietoso su di noi, la perplessità minaccia seriamente la serenità della nostra posizione faticosamente raggiunta alla fine di un laborioso confronto, ma riusciamo a sostenerci vicendevolmente e usciamo dal rifugio orgogliosi.
Raggiungiamo Villamayor del Rio che sono le 830.. la città delle tre menzogne.. non è una Villa, non è Mayor e non ha fiumi che l'attraversano.. il proseguo del tracciato, parallelo alla N120 non diventerà memorabile se non per le notizie che ci arrivano dalla Francia.. i fatti di Nizza stanno pian piano riempiendo notiziari, giornali e le orecchie delle persone anche a queste latitudini.. fortunatamente non riusciamo ad abituarci a certi episodi.. Sergino sembra accusare un po' di più, la Francia gli è per forza di cose più vicina.. la racconta quotidianamente e senza dubbio è un po' come se gli fossero entrati i ladri in casa.
Entriamo a Belorado un'oretta scarsa dopo.. decidiamo per una sosta e replichiamo la colazione godendoci la piazza principale ancora semideserta.. pochi minuti e arrivano Ellen e la danese, la stanutitense ci seguirà a ruota mentre la sua amica europea si fermerà qui per qualche ora in attesa del pullman che la riporterà a Madrid per poi volare a casa.
Usciti dal paese rientriamo sul solito sterrato che corre parallelo alla solita noiosa N120 fino alle undici più o meno, quando ci allontaniamo finalmente per inoltrarci su per una collina che in pochi minuti ci porta a Villambistia, il cielo è azzurro.. terso direbbero quelli preparati.. un cielo che pare disegnato a mano libera e io mi ci perdo camminando a testa alta con lo sguardo puntato nel nulla.
Attraversiamo Espinosa del Camino, una manciata di case buttate li a caso e finite sempre per caso sul cammino di Santiago, per fortuna loro.
Mancano solamente tre km a tappa.. camminiamo affiancati, trascinando un po' gli scarponcini.. ci prendiamo cinque minuti cronometrati per riposare le spalle, allentiamo il peso appoggiati a una staccionata a fine paese che ci riapre un panorama nuovamente privo di costruzioni.. lo zaino sempre in spalla ma sollevato dal legno ci fa bene alla schiena e alle spalle.
Sergino detta il tempo e riparte senza darmi preavviso, mi lascia quattro o cinque falcate indietro e a me non resta che far la vittima.. lo offendo per l'abbandono e gli ricordo che quando avrà bisogno di qualcuno che gli passi la borraccia io non ci sarò.. mi sento e mi dichiaro indispensabile.. la punta acida dell'orgoglio permaloso mi dona un passo supponente di chi sente la vittoria per lo meno psicologica in pugno ma Sergino si gira senza smettere di camminare e guardandomi dritto negli occhi mi presenta la borraccia, prepotentemente apparecchiata sullo spallaccio di destra grazie a un moschettone.. e mi chiude, libero e indipendente, la partita con uno sprezzante "te ne puoi anche andare adesso, ho l'acqua a portata di mano!".. si rischia l'incidente diplomatico, ma solo nelle trame delle serie tv, noi siamo pellegrini oramai e basta riprendere lo stesso ritmo per cancellare teatrino e chiacchiere con le risate che oramai fan da cornice alle nostre giornate spagnole.
Arriviamo a Villafranca Montes de Oca.. l'albergue spunta dalla cima del tracciato.. è un vero e proprio tuffo nel passato, un ex hospital per pellegrini diretti a Santiago che conta sulle spalle qualche secolo e qualche migliaio di viandanti.
Entriamo in camerata.. siamo solo noi due e un altro, italiano da quel che borbotta, intento a prepararsi la branda.. ci sente entrare e ci accoglie come fosse casa sua, invitandoci nella nostra lingua a scegliere il letto che ci piace di più e mentre ci avviamo verso il fondo della camerata ci presentiamo.. il priore di Torino è al suo tredicesimo cammino.. ed ha già 900 km sulle gambe perché è partito da Puy en Velay.. Francia centrale, abbozzo li un riassuntino dei nostri due anni.. la partenza da Leon e da Saint Jean quest'anno e lui ci battezza amorevolmente come beati turisti.. la freccia è scoccata e la vedo bene che mi passa rapida davanti agli occhi.. diretta sicura verso il prof.. mi giro impaurito per la sua possibile reazione e fatico a trattenerlo.. cerco di fermarlo con lo sguardo perché lo vedo grintoso.. ma non serve, tiene dentro l'arroganza di chi si sente ferito, deglutisce e mi invita a pranzo fuori.
Al rientro dal pranzo la camerata è pressoché completa.. Sergino mi sparisce dai radar e dopo un breve giretto per i locali dell'albergue mi ritrovo a frescheggiare su una sdraio mentre il priore e niccolò, trentenne triestino appena arrivato, mi raccontano le loro avventure, io annuisco e basta.. mi sto spengendo e mi piace la sensazione che sto provando poi qualche inchino malgestito e migliaia di sbadigli mi consigliano in rientro in camerata.
Ritrovo Sergino accucciato nel letto, tuta, pantaloni da trekking, felpa e accappatoio.. tutto pesantemente addosso.. raggomitolato più di un gatto e con gli occhini lucidi.. il mio hermano l'ha avuta e non me la nasconde neanche bene.
Qui si rischia di mandare tutto all'aria, parto per la missione recupero e dopo dieci minuti mi ritrovo seduto accanto a Sergino, di fronte alla reception in attesa del dottore.
Eccolo finalmente, si piazza in piedi di fronte al mio hermano, se lo squadra bene con le braccia conserte come fosse di fronte a una statua da studiare e dopo una pausa di riflessione, parte la sequenza di domande.. una raffica di spagnolo, vere e proprie rasoiate, rapide.. incomprensibili per noi.. il medico si rende conto della difficoltà e ingaggia un traduttore.
L'intervista prevede ora un doppio passaggio.. spagnolo e inglese, un inglese spagnoleggiante che risulta un filino più comprensibile.. anche se a tratti comico.
Raggiungiamo il primo picco di comicità inconsapevole quando il medico chiede a Sergino se "tiene dolores de trippa".. Sergino, disturbato.. fatica a trovare le parole e si aiuta gesticolando, mima da navigato attore ogni malfunzionamento accompagnando i gesti, eloquenti perfino allo spagnolo, con l'audio doppiato, un rumorista nato.. arriviamo ad uno scambio a tre che non viene mai interrotto anche se spesso cambia senso di marcia.. prima spagnolo verso l'inglese per l'italiano, poi l'italiano verso lo spagnolo ignorando l'inglese.. poi solo gesti e manualità che Chaplin a confronto era un ragazzino alle prime armi.. si passa dalla gioia di aver capito, al terrore per l'insistenza su traduzioni così azzardate che neanche il peggior traduttore on line proporrebbe.. la pièce dura si e no dieci minuti che mi risultano però infiniti, dieci minuti di puro teatro dell'assurdo che vengono definitivamente chiusi con un monito del dottore accompagnato bene da gesta imperative che invitano  Sergino a non mangiare, ma a bere tanta acqua.. anzi.. "Agua, agua, agua".. ripetuto tre volte per far calcare bene la mano sull'importanza della questione e non si esime neanche il traduttore dal caricare Sergino di responsabilità chiudendo il sipario con un trittico inglese anch'esso accompagnato dall'indice che me lo vedo ritmato parola per parola, tagliare l'aria dall'alto verso il basso: "Water, water, water.." e a noi due non resta che annuire sperando che i tre atti finiscano alla svelta.
E' evidente che i due han già calcato insieme svariati palcoscenici di mezza europa.. ma il colpo di grazia ce lo da il dottore, che dopo essersi confrontato con Sergino ed aver appurato la scarsa consistenza relativa a determinati rilasci, ci tiene a dichiarare la patologia al paziente oramai incapace di ogni replica.. "Tu tienes diarrea", sento le risate salire dalla platea e gli applausi fin dalla galleria, annuiamo altre quindici o sedici volte senza proferir parola e ce ne torniamo in camerata che Sergino ha già qualche linea in meno di febbre.
Vado a cena con Niccolò e rientro che il malato già dormicchia.. lo seguo senza indugio ma reggo il confronto fin verso le due.. apro gli occhi come fosse suonata la sveglia e mi ritrovo l'hermano malandato che campeggia l'orizzonte.. d'istinto gli porto la mano alla fronte.. è freschino il ragazzo.. abbiamo scampato il pericolo.. almeno noi.. intanto la rete mi informa su un tentativo di colpo di stato in turchia.. adesso si che possiamo chiudere questa giornata..



giovedì 14 luglio 2016

Ciruena - Viloria de Rioja

L'aria di casa ci regala un calduccio inaspettato e rigirarsi sotto la coperta sa poco di pellegrini, ma è una reazione naturale che non riusciamo a gestire.. non ce lo diciamo neanche, ma d'accordo mentalmente rimandiamo la sveglia almeno un paio di volte.
Usciamo finalmente che sono le sette.. borghesi, rallentati dal torpore dell'appartamento ma i dieci gradi spagnoli ci riportano alla realtà in pochi passi.. decidiamo, forzatamente vista la nullità totale nei primi km, di saltare la colazione e rimandarla all'arrivo a Santo Domingo de la Calzada, conosciuta tra i pellegrini per il ponte sul fiume Oja e la leggenda del gallo e la gallina.
Il sole finalmente ci riscalda e rende piacevole il giro per l'Avenida Re Juan Carlos, viale principale del paese, i negozi e i ristoranti sono ancora chiusi così risultiamo gli unici passi che calpestano questa inaspettata area pedonale.. alle 10 oltrepassiamo il ponte per uscir dall'abitato.
I campi di grano sono nuovamente la nostra cornice.. i canali di irrigazione che corrono veloci lungo il perimetro mi rimandano alla prima nostra uscita da Leon a San Martin del Camino.. trecentosessantacinque giorni fa.. ci stiamo avvicinando alla Castiglia.. nuovamente, un anno più tardi.
Ore 11, entriamo a Granon.. paesino di quattrocento anime attraversato da est a ovest da un vicolino  largo appena quattro braccia che si merita lo stesso il titolo di Calle Mayor, una chiesa senza timbro e un alimentari ci impegnano il quarto d'ora che trascorriamo tra l'ingresso e l'uscita dal paese..  gran parte del quarto d'ora lo perdiamo all'alimentari dove compriamo qualche frutto.. offre il prof che, giusto per sport, finisce per contestare la manciatina di resto che gli spetta, parte una trattativa estenuante che fonda le origini del contendere su cinquanta fortuitissimi centesimi che l'hermano pretende con fermezza e che la spagnola invece si rifiuta di rendergli. La trattativa non è mai totalmente equilibrata, la bilancia pesa a sfavore della spagnola e si conclude dopo quasi dieci minuti quando Sergino le conta uno a uno, con l'indice ben puntato sulle mani i ramini contestati..
Ore 12, rientriamo in Castiglia, per la seconda volta in due anni e ritorniamo a costeggiare la nostra benamata N-120 quando ci appare all'orizzonte Redecilla del Camino, l'ora del pranzo è arrivata galoppando, ma ancora non riusciamo a trovar qualcosa di degno per la nostra sosta di metà giornata.
Il paesino comincia e finisce con lo stesso sguardo ma propone d'acchito un nuovissimo ufficio turistico che risulta palesemente sovradimensionato per l'abitato, entriamo e chiedo immediatamente di un qualsiasi un punto ristoro.. la tipa al bancone non rispecchia la grandeur del punto informativo e non capisce l'inglese.. parla solo lo spagnolo così riusciamo a capirci solo barcamenandoci un pochino a segni e parole più o meno simili tra le nostre lingue.
Continuiamo il nostro passo fino a Castildelgado quando ci imbattiamo in un ristorante che apre i battenti sul passo principale, un'arteria trafficatissima, ha il parcheggio invaso da camion e autoarticolati.. non è la classica trattoria, ne il localino tipico, ma se la regola vale anche in Spagna, dove ci sono i camionisti male non si dovrebbe mangiare.
Sta diventando un cammino enogastronomico..
Riusciamo a ripartire nonostante il pranzo degno di una comunione e arriviamo a tappa che son da poco passate le due e mezzo, Viloria de Rioja è ancora più piccolo di Redecilla se possibile.. ed è completamente abbandonato, almeno questa è la sensazione, ma si sa che a queste latitudini fino al tardo pomeriggio non si muove foglia.
Il primo albergue ci accoglie appena entrati in paese, ma la nostra destinazione è un'altra, sulla guida che ho scaricato dal sito dei pellegrini di belluno c'è un'intera pagina dedicata al refugio di Acacio e Orietta e la promessa di una sosta che avrebbe lasciato il proprio segno ci ha convinti a preferirli.
L'ambiente ci accoglie con la calma e la tranquillità che la musica in sottofondo ci consiglia, l'incenso che inonda l'ingresso fa il resto.. Presi dalla curiosità che ci reclama questo refugio ci accorgiamo di Acacio solo dopo un pò.. se ne sta seduto sulla sinistra e ci aspetta per le formalità burocratiche senza scomporsi più di tanto, si alza solo per farci fare un giro dell'albergue.. la struttura è particolare, sembra ricavato nella roccia, le pareti in pietra e i pavimenti grezzi, i dieci posti letto e il tavolo per la cena comunitaria.. tutto concorre a farci sentire ovunque tranne che in un albergue.
Poco prima di cena arrivano altre due pellegrine, una statunitense e una danese.. amiche grazie a un percorso professionale che le ha fatte incontrare in Sud America anni fa.. ci ritroviamo a tavola tutti insieme, Acacio e Orietta compresi.. lui brasiliano di origini portoghesi, lei vicentina.. ambedue da svariati anni sul cammino.. con il loro particolarissimo Refugio.
La cena abbondante, il clima familiare e l'ottimo caffè, caso raro in Spagna, tutto facilita lo scambio, la dialettica e la confidenza.. i ragionamenti che riusciamo a scambiarci con un inglese e un italiano che giocano a ping pong con una pallina spagnola raggiungono picchi oltremodo interessanti.. si parla di porte parallele.. di altre dimensioni, della necessità di quote più normali.. di società costruite per gestire al meglio l'individuo per il raggiungimento di obbiettivi dove nulla è fatto per il bene comune, tutto per l'interesse di pochi.. suona tutto come familiare, come chiacchierate fatte e rifatte mille volte.. la consapevolezza che tutti e sei nonostante la differente provenienza abbiamo nel parlare di quel che ci gira attorno crea un movimento interno ad ognuno che alimenta voglia, forza e allo stesso tempo lascia quel pizzico di amaro che arriva alla fine quando ci rendiamo conto che lo sforzo per cambiare anche solo piccole virgole risulterebbe probabilmente inutile perché la sensazione più grande è quella di esser piccoli all'interno di un meccanismo troppo più enorme di noi stessi.
Ce ne andiamo a letto grati della bella serata passata, posticipiamo volentieri la sveglia alle 630 per poter fare colazione con Orietta e le altre due pellegrine. Acacio è in Portogallo a presenziare a una delle tante conferenze improntate totalmente sul cammino di Santiago, è il personaggio di casa e giustamente ha un suo ruolo sia nella coppia che fuori le mura casalinghe..

mercoledì 13 luglio 2016

Ventosa - Ciruena

Fa freddo, il cielo è coperto.. il sole fa una gran fatica, sgomita lassù ma non la vince.
Usciamo da Ventosa e ci infiliamo per l'ennesima giornata tra i filari.. i vigneti ben disegnati dall'uomo, sono la cornice quotidiana a queste latitudini.
Verso le 9 rientriamo di fatto sul cammino, il tracciato ci porta alle prime case di Najera, veri e propri palazzi di un paese cresciuto proponendo le stesse periferie non dissimili dalle nostre.. attraversiamo un ponte per arrivare finalmente a quel che sembra il centro storico e decidiamo di regalarci la colazione in un barrettino sulla riva del fiume Najerilla.
Il sole riesce a farci arrivare qualche raggio che ci riscalda ad intermittenza.. siamo gli unici clienti quando sentiamo scendere dal ponte un paio di voci connazionali.. lei parla, accusandolo di qualcosa, senza fermarsi mai.. lui che ribatte a monosillabi incastrandoci dentro qualche risatina soddisfatta.. sono coppia di bolognesi.. lui settantasette anni, bello tonico e perennemente sorridente, lei professoressa logorroica che non riprende fiato neanche quando smette di parlare.. il quadretto ci vede spettatori interessati di un racconto non stop di disavventure che hanno come protagonista solo ed esclusivamente lo sventurato compagno di questa versione emiliana della più famosa sig.na Rottermeier, riesce a farsi le domande e dandoci poi le risposte che nessuno di noi le ha chiesto.. spettatori muti che non riescono ad inserirsi nel monologo bolognese.. il pellegrino che accompagna la professoressa sembra abituato e tiene botta con un registro al limite della paraculaggine.. ma forse è l'unica via per mantenere intatta lucidità e serenità in un amicizia leggermente squilibrata nei rapporti di forza a favore della teacher.
Attraversiamo la parte vecchia di Najera e non senza qualche difficoltà ci inerpichiamo per una salita che ci allontana dall'abitato lungo un percorso di terra rossa.. lo sterrato scende poi in una gola, un vero e proprio piccolo Gran Canyon che si allarga poi nuovamente tra i vigneti per farci arrivare ad un bivio.
Distese di filari a perdita d'occhio che disegnano rette parallele senza fine.. davanti a noi due possibilità e due indicazioni differenti ma complementari che intrecciano il cammino con un percorso locale e finiscono per destabilizzare tutte le certezze che ci han portato fin qua.. tiriamo una monetina e decidiamo per la più ovvia, per noi.. il vento forte fischia negli orecchi e abbandoniamo gli ultimi tentennamenti avviandoci incerti davanti a noi finché un altro fischio a più riprese ci richiama l'attenzione.. un ciclista probabilmente abituato a far da vigile a pellegrini poco ravveduti.
Ritorniamo sui nostri passi scuotendo la testa e sorridendo a denti stretti.. il panorama intorno resta intatto per alcuni km.. terra rossa e vigne.. vigne e terra rossa.. la Rioja.
Pranziamo ad Azofra, il classico paesino che vive grazie al cammino, raggiungiamo la chiesa, chiusa, e inganniamo l'attesa fingendo interesse per le scritte che riempiono la facciata.. sono le 1130 e ci par presto per pranzare, paese inutile.
Azzardiamo un pranzetto all'aperto, ma lassù non son d'accordo e la temperatura ritorna rigida come a febbraio appena ci viene apparecchiato.. finiamo ovviamente per sfinirci in un pranzo domenicale degno di un qualsiasi avvenimento da festeggiare e ripartiamo che sono da poco battute le una e trenta.
I vigneti che ci hanno accompagnato finora diminuiscono piano piano favorendo distese di grano.. il bianco dello sterrato e l'oro del grano fan comunella e si alleano con un sole che a intermittenza arriva deciso sulle nostre teste.. finiamo col ringraziare qualche piccola nuvola passeggera che ci rende più gradevole il passo anche se per pochi metri.
L'ultimo tratto prima di Ciruena ci presenta la solita pendenza simpatica.. la affrontiamo consapevoli che ci aspetta la bandiera a scacchi, un'oretta scarsa ma la sentiamo tutta..
Il grano lascia spazio a un campo da golf che ci introduce a un complesso residenziale nuovo di zecca.. ci chiediamo cosa ci possa significare un vero e proprio villaggio degno delle coste sarde a queste latitudini.. l'agglomerato sembra abbandonato, un intero paese appena costruito, in vendita.. e i nostri passi sono l'unico rumore che ci fa compagnia.. superiamo due pellegrini che si trascinano e arriviamo al paese vecchio che sono quasi le quattro del pomeriggio.
Troviamo l'albergue che avevamo prenotato.. è una casa privata in realtà, su tre piani.. 6 letti al nostro, parquet per terra e addio allo spirito che dovrebbe sempre incollarti al cammino.
Decidiamo di non cenare in casa.. a Sergino non sfagiola troppo la tavolata d'ingresso e troviamo senza fatica l'unico bar del posto.. Ciruena vecchia son due strade due e sarebbe stato impossibile non trovarlo, entriamo che son le 19, la tipa di là dal bancone ci squadra dubbiosa come se non ci aspettasse.. si affaccia la cuoca, palesemente improvvisata per le necessità e bofonchia neanche tanto sommessamente qualcosa, non sembriamo così graditi, ma la fame comincia a galoppare su per lo stomaco e l'acquolina sale fino a diventar ingestibile.
Ci sediamo e ci ritroviamo a cenare con i due pellegrini superati poco dopo il campo da golf.. una coppia strana, due ragazzi, uno romano e uno torinese.. si sono conosciuti durante le prime tratte dopo Saint Jean.. ci raccontano i loro primi passi.. km su km senza sosta, dolori e vesciche.. tappe da quaranta km.. un po' ci rivediamo alle nostre prime anno scorso quando spinti dalla novità volevamo mangiare i km senza star li a goderci tutto quel che ci capitava, ma il cammino è altra cosa.. non importa arrivare.. non è importante quando.. è quel che attraversi e ti succede.. Santiago è la meta, ma è camminare il vero motivo.. vivere ogni singola ora, ogni scalino, discesa.. salita e improvviso impedimento ti possa capitare.. e solo quando riesci a capirlo.. solo allora comincia il tuo cammino, il resto è trekking.
Rientriamo in albergue, la camera è ancora vuota.. par d'essere a casa, finché non arriva l'anziana signora con la tosse e la figlia... buffo il cammino, km e km, ognuno col proprio passo e poi ci ritroviamo quando meno te l'aspetti.. son preoccupato solo per la tosse e il mio sonno leggero.

martedì 12 luglio 2016

Logrono - Ventosa

Ripercorriamo il selciato di sampietrini che ci ripropone la piazza del gioco dell'oca e la fonte del pellegrino, sono le 640 e già ci sono un paio di pellegrini che riempiono le borracce.. non possiamo far diversamente, è evidente che si tratta di un must che non possiamo ignorare e ripartiamo lasciandoci Logrono alle spalle attraversando nuovamente il fiume Ebro.
Il parco cittadino, curatissimo, sembra non avere fine.. un vero e proprio polmone verde che accerchia la parte nord della città, il tempo fa culaia, si direbbe dalle nostre parti e la temperatura è quasi autunnale.
Un paio d'ore di cammino e usciamo definitivamente dal parco grazie a Gandalf, un personaggio ovviamente barbuto, che ci timbra la credenziale e ci augura in una qualche lingua volutamente sconosciuta un buon cammino che finisce però per rendere tutta la sceneggiatura quasi comica.
La salita che ci aspetta è resa eroica da una pioggerellina che era oramai nell'aria.. Logrono ci saluta alle nostre spalle oramai avvolta tra le nebbie mattutine, il traffico ancora sonnecchia timido, sono quasi le nove e la movida spagnola è solo un ricordo.
Arriviamo a Navarrete costeggiando l'autostrada, sono le 920.. la sagoma del toro che ci controlla dall'alto sembra vigilare su questa metà di Spagna, la colazione non riesce a rientrare neanche tra le prime dieci, ma la sosta viene ripagata dalla visita della chiesa di Santa Maria.
Mancano solamente 8 km a Ventosa e l'uscita da Navarrete è un vero e proprio esodo.. ci ritroviamo intruppati in un gruppone che solo dopo qualche centinaia di metri scopriamo essere una coda degli zii di ieri sera..
Ragioniamo un po' col prof sulla velocità con cui apriamo e chiudiamo le tappe quest'anno, potremmo azzardare sicuramente qualcosa in più.. nelle gambe abbiamo senza dubbio dei km di riserva che siamo in grado di rischiare, ma nessuno dei due ha la voglia ne la necessità di mettere in discussione la modalità, l'approccio con il quale stiamo affrontando questa parte qua di cammino... nessun atto eroico, nessuna missione da portare a termine, nessun limite da spostare.. solo ed esclusivamente voglia di godersi il cammino stesso.. è la maturità che ci mancava anno scorso, ed è la serenità che sentiamo addosso con questo passo da pensionati che ci accompagna comunque lontano quanto dodici mesi fa.. abbiamo sulle gambe gli stessi identici km.. è la testa che viaggia ad una velocità differente, si è alleata con il cuore e insieme comandano sul resto ed è questa la parte fondamentale..
Ci perdiamo per un viottolo che sconfina in un vitigno, la potatura in corso mi cattura l'attenzione, vere e proprie bastonate a liberar i grappoli dalle foglie, un arte in piena regola perché a cadere sono solo quelle, il grappolo invece sta li, se la ride e si gode il sole che finalmente lo riscalda.
Lo sterrato finisce lungo la statale, costeggiandola fino a quando sulla nostra sinistra non appare finalmente Ventosa che ci aspetta con il suo unico albergue, chiuso come da tradizione.
Spendiamo l'attesa all'interno del parchetto cittadino, scopro lo scatto multiplo dell'iphone e ci intestardiamo in evoluzioni artistiche che poco hanno a che fare con l'agilità, ma che ci rubano momenti ludici pieni di risate ingestibili che ci riportano alle ricreazioni scolastiche e ci spingono però a migliorare le nostre stupide performances ginniche immortalate dalla mia nuova scoperta tecnologica.
L'albergue, privato, ci regala attimi di turismo inaspettato.. dividiamo la stanza con altri sei pellegrini, ma l'ambientazione rasenta l'alberghetto di paese.
Finiamo per cenare che in italia è ora di aperitivo e risaliamo lentamente verso l'albergue che il sole non ne vuole ancora sapere di andarsene a letto.. il paese semideserto, la luce tenue del tramonto, la pettatina e sopratutto l'ennesima tortilla degnamente annaffiata da litri di cerveza ci rallentano il passo.. le infradito e i sanpietrini ci impongono un'attenzione che non siamo più in grado di garantirci e finiamo così quasi per scontrarci con un'anziana signora, unica superstite di Ventosa.
L'aggancio è immediato, si tratta in realtà di un vero e proprio placcaggio dal quale non riusciamo a liberarci.. sulle prime note sembra tutto regolare.. la trama è classica, le domande di rito e le risposte, data l'età dell'interlocutrice, rasentano il servizievole finché la sceneggiatura non piega verso una china che perde i propri confini nei tempi andati.. gli occhi dell'anziana si inumidiscono, lo spagnolo, tremolante già all'inizio, diventa un filo di voce che mantiene però la velocità impazzita tipica degli spagnoli e ci rende praticamente sordi a qualsiasi espressione.
Mi ritrovo a tu per tu con la nostalgica che mi racconta di Franco, del marito probabilmente perso durante la guerra civile.. si rasenta la telenovela con palesi accuse ai fascisti italiani che vennero qua a rubar oro, lavoro e donne.. gli occhi della spagnola adesso sono puntati dritto nei miei e sono ricolmi di lacrime.. la situazione non è più controllabile e mi giro lanciando un Sos a Sergino che non ritrovo più a portata di mano.. la vecchia non smette di parlarmi, lo spagnolo che mi arriva oramai è una lingua di altri tempi, mi sento toccare un braccio, mi rigiro a controllare.. l'anziana mi reclama attenzione, ma il panico da rapimento oramai si è impossessato di me, mi rigiro nuovamente alla ricerca del prof che riesco a ripescare con gli occhi oramai dieci metri più avanti, mentre di spalle finge, il falso, una telefonata improvvisa e se ne va ridendo come un pazzo.. un rapimento con abbandono nello stesso istante.. lo offendo con le prime parole che mi escono da una voce strozzata da una risata che ha la meglio su di me e gli giuro che la pagherà cara.
Riesco a svincolarmi gentilmente dalla presa che oramai mi stringeva il braccio e abbozzo un paio di adios in loop accompagnati da eloquenti gesti di un ringraziamento palesemente forzato, cerco di rendere meno amaro il distacco per la vecchia che in ultima battuta tenta l'asso dell'invito a casa.. il terrore si impossessa di me e con un scatto che non avrei più creduto di avere riesco a mettere quei metri di libertà sufficienti tra me e il mio aguzzino puntando dritto verso il prof che oramai salvo si gira finalmente verso di me; ha il volto sfinito dalle lacrime e dalle risate l'infame traditore, e pretenderebbe pure di prendersi gioco di me.. fortuna sua che la porta dell'albergue è li a un passo.

lunedì 11 luglio 2016

Torres del Rio - Logrono

Il gruppone degli zii se ne va fortunatamente silenzioso e compatto ad un ora indicibile lasciandoci di fatto nuovamente padroni del baccellaio... ci rigiriamo nel letto e ce la prendiamo comoda.. il nostro cammino duemilasedici, all'opposto di anno scorso, geograficamente e mentalmente, soprattutto.
Un'oretta e siamo per strada, ci infiliamo in una serie di saliscendi leggeri che ci spariscono tra gli oramai familiari vigneti e campi di grano, un vento fresco che pizzica la pelle e un paio di salite a rompere il fiato ci svegliano definitivamente e con noi il sole che se ne va alto alle nostre spalle cercando di farsi largo tra le nuvole.. il tracciato di oggi si snoda su una sorta di zerozero e il vento si ostina a indicarci la strada con maggior convinzione rispetto alle nostre gambe finché una serie infinita di tornantini in terra bianca non ci fanno ridiscendere invitandoci con una pendenza che fa comodo e gioia alle dita dei piedi.
Di nuovo una pettatina e torniamo un'altra volta in quota, la aggrediamo come stambecchi, ma solo perché dura l'attimo di rendersene conto.. sono le 8etrenta e mancano ancora quattro km a Viana e al nostro desayuno.
Ci rifocilliamo senza averne poi così bisogno e ripartiamo incocciando in un'oretta simpaticamente asfaltata.. un percorso periferico che ci avvicina gradualmente a Logrono.. non è un tratto memorabile, una zona industriale a pieno titolo.. cinque km di capannoni finché non entriamo inaspettatamente in una pinetina che ci accompagna con la sua ombra fino a diventare una vera e propria striscia pedonale.
E' il nostro tappeto rosso e Logrono la nostra kermesse, una sorta di unica enorme corsia di atletica senza un campo da calcio da costeggiare, un enorme campo del Roland Garros lungo qualche km che percorriamo insieme ad altri pellegrini.. la città piano piano si affaccia verso il cielo, ci appare prima dal basso per poi sovrastarci nascondendoci l'orizzonte.
Esiste una zona di prefiltraggio, una sorta di selezione gestita in maniera impeccabile da un fraticino  che interpreta alla perfezione il servizio cortesia, spaziando con velocità e ottima dizione dall'inglese al francese per poi illuminarci su logrogno e le sue accoglienze in un italiano degno dell'accademia della crusca.
Entriamo finalmente in città attraversando un ponte, il centro si sviluppa sull'altra riva e il Municipale è li che ci aspetta, chiuso.. apre alle 13.. ci guardiamo e decidiamo di fare un corno al fraticino, attenderemo il nostro letto girovagando per la piazza centrale e le sue stradine..
A dieci alle una c'è già la fila, gli zaini sembrano pesare il doppio.. ci stendiamo a sedere e liberiamo finalmente spalle e piedi.. 
7 euro e abbiamo il nostro letto, smolliamo finalmente gli zaini e gli scarponcini.. Logrono ci aspetta, ma soprattutto la fame bussa da almeno mezz'ora..
Facciamo i selettivi, forse tirando troppo la corda e finiamo per sederci a tavola che son passate le due del pomeriggio.. il servizio, nonostante siamo gli unici avventori, non è dei più rapidi e il rischio è quello di arrivare al piatto combinato stremati più che a O'Cebreiro.
Decidiamo di arrivare fino alla piazza del gioco dell'oca che a legger qua e la ha più di un legame e di un riferimento con i templari, Santiago e tutto quel che è  più vicino al mondo religioso che circonda il cammino.. una sguardatina alla fonte del pellegrino e poi di nuovo in albergue.
Nell'area descanso mi confronto con Raphael, un volontario dell'albergue.. mi spiega un po' Logrono e tutto sommato finiamo per intenderci bene nonostante il mio spagnolo e il suo italiano vadano a scatti come se ci mancasse il segnale, il prof lo perdo per i vari piani del municipale alla ricerca di qualche tacca finché non arriva puntuale l'ora della cena.
Logrogno è una città già troppo grande per i nostri standard duemilasedici.. finiamo per essere avvolti dal traffico e dalle vasche che i giovani a folate usano fare pure a queste latitudini.. siamo tutti uguali, tutti omologati a un preciso schema sociale che vince indifferentemente dalle temperature e dalla lingua ahimè e noi ci sentiamo così fortunatamente lontani adesso.
La cena diventa fin troppo ricercata e stonata col mondo nel quale oramai siamo immersi da almeno due anni, i violinisti che ci accerchiano ci fanno quasi pena.. la ricerca spasmodica di qualche lira li rende macchine da guerra che non distinguono più neanche il target più consono alle loro serenate.
Rientriamo in albergue ripensando a quei paesini sperduti nel nulla.. con le due strade, tre case, l'albergue, una chiesa e la sensazione che le quote giuste per il nostro ritmo naturale esistano davvero.. Logrono la rivaluteremo probabilmente una volta smessi i panni del pellegrino, semmai riusciremo un giorno a volerne fare a meno.. perché parafrasando una morettina el paraiso no es un lugar donde ir, sino una sensacion para vivir.. sarà pure dura mantenere l'approccio che ci regala ogni volta questa parte di universo qua nella nostra quotidianità.. ma quanta differenza vivere a queste quote.. e quando ne assapori il benessere, la sensazione te la vivi dentro ogni giorno che passa.. che tu sia in Spagna o meno.
da PensieriParole

domenica 10 luglio 2016

Villamayor - Torres del Rio

Vengo svegliato piano piano da un tossire costante che mi entra nelle orecchie e non ne vuole sapere di smettere.. apro gli occhi senza muovermi e mi passano di fianco le due teste dei surfisti americani che se ne vanno, non sono neanche le quattro.. fuori è buio e la finestra davanti a me è aperta, ma non si muove foglia ed io sono bagnato come appena uscito dalla doccia.
Provo a richiudere gli occhi, adesso è una vera e propria orchestra, l'anziana signora che tossisce, un paio di zip che si muovono a ritmo e la sveglia dei due orientali che squilla ad un volume che risulta impressionante per tutti tranne che per loro, non mi resta che scendere dal letto e uscire in mutande sul balconcino, finalmente un po' di fresco..e davanti a me la Navarra che da quassù appare infinita.
Ore 630, si parte.. usciamo da Villamayor per una dolce discesa sterrata accompagnati da muretti a secco, manteniamo l'abbrivio iniziale con l'inerzia che ci viene regalata dalla pendenza.. a fondo valle la N-1110 taglia netta il nostro panorama da destra a sinistra, semideserta, ci ricorda che è domenica anche per gli spagnoli.
Un'ora e mezzo di filari di viti e gli oramai soliti infiniti campi di grano che ci riempiono occhi e pensieri.. allentiamo il ritmo e ci ingarelliamo in performances musicali che abbracciano Massimo Ranieri, Renzo Arbore ed altri neomelodici con qualche deviazione su Sanpei, il pescatore dalle famose orecchie a sventola, tanto cari ai viaggi in auto del piccolo prof.
Dopo una piccola sosta alla prima ombra utile il tracciato si snoda fortunatamente lungo una pineta che poco più in alto sulla nostra destra ci rinfresca il passo riparandoci da un sole oramai padrone incontrastato del cielo e della temperatura.
Entriamo a Los Arcos che sono appena le 9, percorriamo la onnipresente Calle Major, un vicolo stretto nell'ombra delle palazzine di tre piani che si aiutano a farsi fresco cercandosi lassù con i tetti, una Via de' Magazzini in miniatura che ci porta fino a Plaza de Santa Maria.
La piazzetta si va riempiendo a poco a poco.. qualche barista ritardatario deve ancora sistemare tavoli sedie e ombrelloni.. si batte la fiacca in terra di spagna, si finisce per prendere d'assalto l'unico che ha nel ritmo lo stesso passo dei pellegrini o meno romanticamente più affine al commercio.. ci sediamo per la nostra colazione quando appaiono prima le due tedesche poi l'americana incrociata all'aeroporto di Biarritz, diventa un pitstop obbligatorio per qualsiasi pellegrino e noi ce lo godiamo appieno allungando la siesta fino alle 11 procurandoci del ghiaccio per i nostri acciacchi e azzardando pure due infradito per alleggerire la stanchezza dei piedi, il tracciato profuma di tappina, mancano solo 8km e ne approfittiamo per visitare la bellissima chiesa di Santa Maria.
Il paesaggio che ci aspetta non cambia, usciti da Los Arcos entriamo in una pianura incontrastata di grano.. a perdita d'occhio.. intermezzi di verde e noi nel mezzo sullo sterrato bianco che ci riflette con piccoli flash degni della migliore reflex il nostro compagno di viaggio più caldo che potevamo sperare.
Finiamo per allungarci.. Sergio mi va via con un bel ritmo e mi scappa dallo sguardo.. lo intravedo laggiù.. sempre più piccolo che mi fa da lepre.. ogni tanto un refolino di vento ci asciuga il sudore che scorre a fiumi sulla fronte.. riesco a mantenere intatta la distanza dal prof, il ginocchio risponde bene, è un passo perfetto.. lo vedo che si toglie uno spallaccio per prendersi la borraccia senza smettere di camminare e mi ricordo che ho sete pure io, libero al spalla sinistra e prendo la borraccia di destra che mi si propone praticamente da sola.. è impossibile oggi smettere di camminare.. effetto benefico della pianura
"ehi.. buddy, i recognize your tattoo!!" mi arriva da dietro Denise, di gran carriera.. mi passa a fianco e riesco a scambiarci due parole mentre mi sorpassa e se ne va di spalle.. è in formissima l'americana, le indico Sergio laggiù in fondo che tira le fila di tutti i pellegrini dopo di lui e ci salutiamo.. nessuno rallenta il ritmo.. nessuno si ferma.
Appena Torres del Rio si fa più nitida sullo sfondo improvvisamente il tracciato ci tira verso destra come a volerla scansare.. ci infiliamo tra i vigneti e gli ulivi che la proteggono dalle distese di grano, è mezzogiorno, e lui lassù punta dritto sul mio cappellino di paglia, maledetto.
Mezz'ora e finisce lo sterrato, mi impadronisco dell'asfalto che girandomi a sinistra mi mette finalmente Torres del Rio nel mirino.. un chilometro ancora... quattro puntini lontani che sembrano fermi ma irraggiungibili, sulla destra il primo, il rosso dello zaino del mio hermano.. qualche centinaia di metri prima di me.. da solo in mezzo alla carreggiata, mi sento un po' Forrest Gump.. vorrei poter dire che sono un po' stanchino, specie quando scopro che Torres del Rio in realtà è Sansol.
Decidiamo di fermarci e pranzare a bocadillo con atún, Cerveza e piedi a mollo in acqua salata..
Raggiungiamo finalmente la Pata de Oca, nostro albergue per la notte.. è una vera è propria camerata a tetto, una ventina di letti e un caldo che non ci vuole abbandonare. 
Qualche bicchiere di Sangria e ci abbandoniamo al riposo.. Sergino crolla in un sonno notturno mentre io girello per il paesino.. l'unica Tienda presente riapre alle 18.. è siesta per tutti.
A cena ritroviamo Denise e due milanesi.. ci raccontiamo un po del nostro cammino, si suda a star fermi, il seminterrato che ci accoglie per la cena pare una stufa accesa e non vediamo l'ora di risalire a una temperatura più degna.
La serata propone la finale del campionato Europeo, nonostante la sicurezza teutonica del ragazzetto di qualche sera fa saranno Portogallo e Francia a giocarsi la coppa.. non ci resta che sedersi come al circolino, birra pronta e tifare per i più deboli..
Pronti, via e l'unica speranza del Portogallo si infortuna.. Senza CR7, a Parigi.. è praticamente scritta.. ma al novantesimo abbandoniamo le tribune sullo zeroazero.. 
Le operazioni di imbustamento sono più difficoltose di quel che immaginavamo.. la camerata è in overbooking per l'arrivo di un gruppo di anzianotti che ha praticamente conquistato ogni centimetro.. la nostra privacy tanto apprezzata all'arrivo ci ha abbandonato, ma riusciamo a prendere sonno nonostante i vecchi parlottino da un letto a un altro come ragazzini al primo campeggio insieme.
Qualche ora di sonno e il caldo mi bussa nuovamente alle orecchie insieme a una voce sempre più forte.. sempre meno intonata.. qualcuno deve aver tirato a fondo la brocca di Sangria la fuori e adesso ci allieta con le tipiche melodie spagnole, peccato per l'incedere stonato e la voce rauca di chi sogna Sanremo cantando davanti allo specchio con lo spazzolino in mano, mi ricordo del cellulare in carica e in un impeto di agonismo notturno mai sperato, mi butto dal letto a castello e lo recupero.. messaggio dall'Italia: Portogallo campione.. sorrido e mi rituffo nel mio sudario.. ha vinto il romanticismo.

sabato 9 luglio 2016

Cirauqui - Villamayor de Monjardin

Lasciamo l'albergue di Serena che non sono neanche le 6, ci sono pochi bagni e il traffico da e per le camerate, come immaginavamo, è sostenuto già a quell'ora.. qualcuno ha visto bene di fare alcuni esercizi di riscaldamento sotto il sacco a pelo, il ritmo frusciato entra nelle orecchie ed è un'impresa tenere gli occhi chiusi e allungare la notte.
Usciamo dal paese per una discesa acciottolata che ci porta fino alle rovine di un ponte romano, la luce è ancora tenue, la pianura ci accoglie silenziosa.. i vitigni ci fanno la ola e ci accompagnano fino ad una pettatina che aggrediamo con un buon ritmo.
Entriamo a Villatuerta che sono le 8, abbandoniamo gli zaini poco fuori da un barrettino che già d'acchito non promette bene, il tempo di entrare, guardarci intorno che ripieghiamo mesti verso l'uscita; la colazione è un momento sacro, importante.. non può esser spesa ovunque.. preferiamo andare avanti.. oltrepassiamo un altro ponticino romano.. ci accapiamo ad un altro bar senza entrarci.. tiriamo ancora dritto.. neanche il secondo soddisfa il nostro immaginario.. selettivi, stamani sta diventando peggio di una puntata di cucine da incubo, Cannavacciuolo ci accompagna dentro e Bastianich ci fa sdubbiare.. TripAdvisor per fortuna ci viene in aiuto, c'è un terzo ed ultimo bar alla fine del paese.. chiuso.. non ci resta che ritornar sui nostri passi fino al primo bar che abbiamo incrociato entrando in paese e rinunciare per la prima mattina alla tortilla di rito, riattraversiamo quindi il Rio Irantzu e ci riaccapiamo ancor più mesti al barrettino invaso da piccoli pellegrini.
Ripartiamo senza aver soddisfatto ne il palato ne la tradizione.. il sole oramai è padrone incontrastato del cielo sopra di noi e ci fa sentire la sua presenza.. mi ritrovo solo col mio ginocchio che si lamenta.. niente a che vedere con le urla di anno scorso, ma l'abbinata caldoginocchio è un altro zaino con il quale convivere.
Mi ritrovo a poche centinaia di metri da Estella quando il gruppetto di piccoli pellegrini incocciati al bar di Villatuerta mi s'infila correndo tra le gambe e mi precede ad una fonte che ci accoglie a braccia aperte, attendo silenzioso e paziente il mio turno, ma l'abbeverata degenera in alcune docce e guerriglie degne del miglior ferragosto finché non interviene un adulto.. sorrido, avanzo verso la truppa mezza di gavettoni che si allarga per farmi strada.. non resisto e dopo alcuni sorsi immergo lentamente la testa sotto il getto.. non vorrei toglierla più, ma i piccoli mi fanno da palo e il loro sguardo mi chiede il conto.
Cinque minuti ed è il turno di Sergino.. docciati entriamo in paese che sono le dieci e mezzo, ci arrampichiamo faticosamente sulla scalinata che porta alla chiesa di San Pedro de la Rua.. sessantotto scalini che diventano 138 al ritorno.. ci guardiamo sfiniti come avessimo fatto un altra volta l'alto del perdono.
Riprendiamo la camminata passando davanti all'ufficio del turismo e all'ascensore che ci avrebbe portato fino alla chiesa, ci ridiamo un po' su e ci inoltriamo verso Irache dove ci attende la fonte della Cantina locale.. costruita nei primi anni novanta disseta i pellegrini diretti a Santiago lasciando loro la scelta tra acqua e vino.
Il vino ci rilassa e ci da l'energia giusta per ripartire nuovamente.. la boscaglia poco dopo il Monastero ci accompagna fino a Azqueta.. il ritmo è buono nonostante il caldo stia diventando pesante sia sulla mente che sulle gambe. Ci sono ancora cento metri di dislivello da affrontare e lo faremo che da poco son passate le 14.. intanto la terra rossa si impadronisce dei nostri scarponcini, i quattro km e il sole a picco rendono tutto molto simpatico.. non c'è un albero a sognarlo.
La sosta all'ingresso di Azqueta non è concordata, ma necessaria.. siamo già alti, il vento fresco sembra volerci bene e non ce lo nasconde.. ristoratrice e benefica, salutiamo Azqueta col sorriso stanco.
La collina che ci separa da Villamayor sembra uno dei campi di Holly e Benji, non finisce più finché  finalmente non si accasa la campana di una chiesa che ci saluta.. appare piano piano tutto il campanile e il nostro sorriso si allarga insieme alla vista del paese.
Una chiesa, due albergue, una tenda e un bar per la cena.. intorno campagna a perdita d'occhio.
E' il cammino duemilasedici.. perfetta fotografia, noi e il nulla attorno.. nessuna velocità consentita.. movimento lento e immersione totale in un mondo che purtroppo vive solo in qualche cassetto chiuso della nostra memoria.. i polmoni tornano a respirare al ritmo giusto, aprendosi completamente.. nessuna pressione.. nessuna fretta.. il tempo si allunga e i minuti, le ore ci danno modo di assaporare bene il gusto di una vita che tutti senz'altro avevamo scelto appena nati, quando nel warm up hai la possibilità di montare le gomme più adatte alla gara che sei chiamato a correre, poi crescendo pare tutto scelto dagli sponsor.. e tu devi correre, annaspare, sgomitare a ritmi che non ti appartengono.
Ci ritroviamo a pianificare le prossime tappe con lo spirito che ci ha indirizzato le precedenti e decidiamo che i venticinque km siano la distanza massima da percorrere quotidianamente.. ce lo vogliamo godere questo cammino, arriveremo a Burgos in tempo per prendere un pullman per Leon per poi decidere come arrivare a Santiago.
Ci avviamo per la cena attraversando la piazzetta del paese.. una sguardatina intorno.. di fatto siamo tutti pellegrini, il paese sembra un villaggio vacanze dedicato a noi.. mi gusto di buon grado un gazpacho guarnito con pezzetti di cocomero e terminiamo la nostra serata seduti su una panchina a frescheggiare mentre il sole colora il cielo, in attesa dell'ultimo minuto disponibile prima che i battenti di casa si chiudano per la notte, pensionati dentro.

venerdì 8 luglio 2016

Zariquiegui - Cirauqui

Lasciamo l'albergue e usciamo dal paese in appena due minuti, cominciamo la salita verso l'Alto del Perdono con la nebbia che ci nasconde il panorama e ci avvolge bene con un abbraccio fresco e pungente, il caldo asfissiante di ieri che ha accompagnato i sogni di stanotte sembra fortunatamente un ricordo.
E' un vero e proprio muro bianco.. il sentiero è acciottolato, il dislivello che ci mangiamo per colazione dura poco e il rumore delle eliche aumenta mano a mano che ci avviciniamo alla vetta.
Ci ritroviamo la dove il cammino del vento si incrocia col cammino delle stelle, in fila con i pellegrini di metallo che compongono il monumento a loro dedicato, sono appena le sette e trenta e sulle prime rimango un po' basito, come al solito le foto e l'immaginario collettivo mi avevano creato le stesse aspettative che andarono deluse per la Cruz l'anno scorso, ma forse è giusto così, non conta l'apparenza, non è la forma, ne le dimensioni.. non serve impressionare nessuno.. è il pensiero, è quello che hai in testa che diventa importante, grande.. senza alcun confronto.. giusto per il peso che assume nel tuo intimo, legandolo al momento che stai vivendo.. ecco chi fa la differenza.. quello che provi, non quello che vedi.
Finiamo un ipotetico rullino in varie pose e riprendiamo il nostro percorso scapicollandoci per una discesa dopo aver riempito occhi e cuore con lo spettacolo infinito che la terrazza naturale ci regala una volta superata la nebbia, sono le 8 quando ci arrivano alle spalle i primi raggi tiepidi del sole che pare finalmente averla vinta, la terra rossa e sconnessa, il dislivello e soprattutto le dita dei piedi che puntano infami dentro gli scarponcini per almeno mezz'ora rendono il tutto una piccola passione che sembra non aver fine.
Riprendiamo l'equilibrio della bolla e rimettiamo l'orizzonte all'altezza giusta, Sergino mi regala una ventina di minuti di teoria sul mondo del subbuteo, gioco d'infanzia a me ignoto.. Il prof invece sembra saperne più di qualcosa e da buon insegnante non si risparmia nel raccontarmi perle, regole e aneddoti che gli hanno riempito pomeriggi interi quando ancora la playstation non era neanche nella testa della Sony e probabilmente la nostra fantasia galoppava, si creava e cresceva autonomamente, ma soprattutto ci riempiva le giornate di curiosità che rischiamo troppo spesso di annullare.
Un'altra mezz'ora e attraversiamo Uterga.. l'ora e lo stomaco ci direbbero colazione, ma non così convincenti.. decidiamo di rimandare al paese successivo, la camminata è passeggiante, l'attenzione cala e la leggera pendenza ci da l'abbrivio per un'andatura fatta d'inerzia.. prendiamo d'infilata l'asfalto che ci si disegna davanti senza farci le mille domande che ad ogni piccola curva avrebbero riempito le nostre teste ansiose, ci allontaniamo dal paese fin troppo tranquilli, a mano a mano che l'uscita diventa piccola alle nostre spalle, lasciandoci soli ad occupare la statale, comincia però leggera a farsi largo la sensazione di aver sbagliato direzione.
Sergio la prende larga e la tocca piano:".. l'hai viste te le frecce gialle, vero?..", io.. qualche metro avanti, non mi giro neanche, in realtà non ho visto ne frecce, ne conchiglie.. però tengo botta e orgoglioso abbozzo un:"..no, ma era l'unica via possibile.." facendo leva sulla lontananza oramai incolmabile da Uterga.. ma il prof attento non me la perdona:"..e allora che ci fanno quei tre lassù?" mi chiede indicandomi col bastoncino un gruppetto di pellegrini che si staglia sulla nostra sinistra su uno zerozero a un centinaio di metri da noi.. viaggiano paralleli a noi, poco più alti.. per un attimo penso che siano loro ad aver sbagliato, ma è palese il contrario e non mi non resta che ammettere l'errore, fortuna che andiamo tutti nella stessa direzione.
Ci grattugiamo gli scarponcini per tre km di asfalto prima di rientrare in coda ai tre alle porte di Muruzabal.. le indicazioni per il bar ci sono, ma il paesino pare abbandonato.. tutto chiuso, niente colazione, proseguiamo per uno sterratone parallelo alla provinciale fino a Obanos, che ci aspetta con il succo e la tortilla apparecchiati in cima a una pettatina che a stomaco ancora vuoto risulta oltremodo devastante.
Incrociamo il cammino Aragonese che parte da Sonport, al di la dei Pirenei, a metà salita chiudo gli occhi, provo a farmi guidare dal ritmo dei bastoncini che oramai gestiscono le mie gambe.. il ginocchio si lamenta sottovoce lasciando spazio allo stomaco per le questioni più serie.. siamo alle soglie della contestazione e io non so come dargli torto.
Chiudiamo la colazione con un po' di ghiaccio che ci allieva i vari doloretti da pellegrini poco allenati.. la generosità della barista ci riempie due sacchetti della spesa che non si scioglierebbero neanche nel deserto, ci rimettiamo in marcia che sono quasi le dieci e il caldo asfissiante risveglia velocemente i ragazzetti che a tratti sembrano sparire.. il lancio dei cubetti di ghiaccio si trasforma presto in una vera e propria guerriglia  che non fa vittime ma ci fa affrontare in scioltezza i restanti tre km fino a Puente de le Reina.
Un paio di timbrini e ci ritroviamo a sedere in pieno centro.. una calle mayor di un paio di km che ci allunga il passo fino al ponte che da il nome al paese, altri 7km e siamo a tappa.
Ripartiamo con due birrette che risuderemo con i prossimi dieci passi, l'ora batte le quattordici e dopo un breve falsobastardopiano inizia il dislivello che termina la tappa, allentiamo la fatica con un buon racconto sulla breve ma intensa carriera musicale che ha visto protagonisti i vari Kitsch, i Goccia e le successive evoluzioni di chi ha cominciato giocando ed è andato vicino a far le cose a modo, racconti di adolescenti che han cominciato a cantare divertendosi e si son ritrovi adulti mentre scrivevano testi e accordi musicali.
Ci soffermiamo quando il dislivello ci presenta un vero e proprio muro.. sterrato bianco, temperatura da bagnasciuga e tanta sete solo al pensiero.
Ci allunghiamo sulla salita, perdendoci per poi ritrovarci a Maneru.. il lavatoio a metà paese sembra un'isola felice, un vero e proprio miraggio.. un sogno.. mi ci abbandono volentieri bagnandomi più volte cappello e capelli.. pochi minuti e arriva il prof.. evitiamo la ripartenza CAI e allunghiamo la sosta di qualche minuto ancora, giusto il tempo per ascoltare un paio di annunci dall'altoparlante del campanile che informano la cittadinanza sulle prossime iniziative organizzate dalle socialità locali.
Tre km di muri a secco, vitigni e oliveti ci riempiono gli occhi prima di entrare a Cirauqui, un paesino degnamente arroccato in cima a una collina, l'albergue ovviamente è a fine paese, nell'ultima piazzetta utile, ci arriviamo stremati, sudati e sfiniti perfino nell'animo.
Sergino si fa largo oltre la tenda d'ingresso, io gli calpesto i passi appena liberi e mi fermo solo quando l'ombra mi regala sollievo, l'hospitalera pare li che ci aspetta da ieri, il prof si schiarisce la voce e le dichiara:"habemus reserva!" in uno spagnolo oltre il limite del dignitoso, ma soprattutto del latino.. Serena, l'hospitalera veronese che gestisce l'albergue, ci accoglie col sorriso e ci ripaga con un chiaro:"siete italiani?", la stanchezza vince su tutto e annuiamo sorridendo.
Una cerveza in terrazza dopo la doccia, la spesuccia per la colazione dal buon Teofilo Moreno, che da queste parti è chiaro non tema concorrenza e la cena è servita alle 19.. Ci ritroviamo a tavola con un napoletano, un londinese e due tedesche.. sulle prime è uno show partenopeo, poi riusciamo a farci largo senza però mai oltrepassare il perimetro che il pellegrino campano aveva già delineato attorno agli astanti.. si capisce che ha i fili della conversazione, probabilmente pure della nostra perché finiamo occhi stanchi per accompagnare la serata con una serie infinita di accenni e di inchini mentre i quattro commensali cercano di svincolarsi con un inglese indubbiamente migliore dello pseudo spagnolo con il quale ci siamo presentati noi a Serena. 

giovedì 7 luglio 2016

Larrasoana - Zariquiegui

Lasciamo Larrasoana mentre il tempo ci fa brutto.. i primi passi in salita e l'umidità folle che ci arriva a pelle non mette bene, entriamo e usciamo da Ikarreta in tre secondi netti, un entraesci senza sosta e ci scapicolliamo giù per una discesina simpatica, improvvisa, bagnata come si deve e una serie di piastrelle che mettono a dura prova equilibrio e caviglie.
L'ardimento con cui abbiamo affrontato la salita è solo un flebile ricordo, la pendenza ci fa muovere come pinguini neanche tanto abituati alla modalità pattine nel salotto buono della nonna, arrischiamo più di una volta la derapata a rompersi le ginocchia e solamente la consapevolezza di esser sul cammino per Santiago evita richiami poco simpatici all'alto dei cieli.
Sono vere e proprie inchiodate, con la sensazione fredda che i freni siano stati sabotati, continui colpi al cuore, allo stomaco e alle tempie e solo a gambe ferme e sicure il battito rallenta per riprendere il ritmo di una persona serena e felice.. è un po' come mettere i pattini per la prima volta.. ma Dio Santo se arriviamo in fondo.. e con tutti i denti al loro posto, la nostra discesa libera freestyle l'abbiamo portata a casa, ma che fatica.
Sergio si sente in dovere di raccontarmi la dinamica del suo incedere, mi racconta che oramai è abitudine muovere i primi passi gagliardo, irrispettoso della distanza, superbo chiosa e questo in effetti glielo confermo pure io, ma mi confida di andarmi in crisi passati i primi sei, sette km.. un vero e proprio crollo verticale che gli si manifesta con un andatura completamente scollegata.. il segnale parte, ne è sicuro, ma non arriva come deve agli arti inferiori e si affievolisce pian piano accusando un calo di zuccheri esplodendo in una fatica indicibile che finisce per avere la meglio.. conoscendosi preferisce quindi lasciarsi andare.. ammorbidire il tono, smezzare il passo senza controllare più niente.. un bimbo alle prime armi con la batteria, i bastoncini sembrano tergicristalli impazziti.. riesce a riaversi solo passata la metà del tracciato e con un vero e proprio colpo di reni, uno slancio pieno di orgoglio cerca il goal della bandiera giocandosi il jolly sul finir della tappa.
Il sentiero costeggia un fiumiciattolo che, complice l'umidità, l'oscurità del bosco e le mini rapide che lo aggrediscono, diventa un po' il nostro Rio delle Amazzoni.. gli alberi si cercano sopra di noi in abbracci e strette degne della foresta pluviale.. il fango a terra ci appesantisce gli scarponcini e dopo mezz'ora smanio dalla voglia di uscir da quest'Argentina in miniatura.
Ore 8, come d'improvviso veniamo accecati dalla luce, il bosco ci rilascia dopo almeno due ore di parco avventura, costeggiamo un campo che ci regala aria e sole, il sentiero è asciutto finalmente ma la gioia dura poco, rientriamo nella boscaglia fitta per un altro quarto d'ora e ne riusciamo per prender d'infilata un ponte sulla nostra destra che ci fa oltrepassare Zuriain per buttarci senza pietà sulla provinciale.. una vera e propria lingua d'asfalto che ci fa quasi rimpiangere l'Amazzonia tanto odiata.
Entriamo in scia a quattro pellegrini che ci precedono all'orizzonte e piegano poi sulla sinistra lasciandoci soli alle ventate fresche che i Tir ci regalano assieme all'ansia dell'aggancio.. il Basco comanda sullo spagnolo, il cartelli e tutte le indicazioni ce lo spiegano a caratteri cubitali..
Finalmente pieghiamo pure noi sulla sinistra lasciando asfalto, tir e timori, lo sterrato s'inerpica per una salita con le montagne che ci aprono il loro panorama.. piano piano sparisce tutto intorno a noi.. Aria, cielo terso e il verde è alle spalle.. un vero e proprio oceano d'aria ci affronta con ondate degne della miglior California, intanto il fiume tormentato si perde sulla nostra destra sempre più in basso.. 
Il selciato si indurisce fino a diventar cemento ed è tutto un sali scendi tra case e campi fino a rincontrare a valle il nostro Rio che attraversiamo per costeggiarlo ancora sulla sua riva destra, due passerelle di legno ci riportano alla memoria antiche paure, finiamo per traversarle con la stessa spocchia che avevamo alle prime interrogazioni con la professoressa d'italiano e ci riappropriamo della terra ferma perdendoci nei primi campi di grano che la Navarra ci regala.
Attraversiamo di nuovo la provinciale per salir su per una pettatina ripida, aiutati da piccole terrazzine che la addolciscono un po'. Il paesaggio torna a parlami di Sardegna, di Elba... di mare e di Dolomiti insieme, è un contrasto continuo tra il verde degli abeti, altissimi sopra di noi, e il rosso delle terre brulle e dure delle due isole italiane, finalmente in lontananza alcuni palazzi degni di una qualsiasi periferia europea.. Pamplona.
Sono le 9 e mancano 8km, il sentiero resta a mezza costa tra le Alpi e l'Amazzonia per poi ridiscendere a fianco della provinciale che sottopassiamo e ci divoriamo un vero e proprio muro improvviso di ciottoli che spiana poi per un lungo e rigenerante tratto verso l'agglomerato di civiltà.
Il classico ponte medioevale ci fa entrare a Villavia, l'antipasto di Pamplona.. è ora di colazione, finalmente, mentre fanno capolino le prime magliette bianche abbinate al foulard rosso.. San Firmino ci aspetta.
Entriamo a Pamplona scavalcando un altro ponte che ci apre verso le mura del centro storico che ci accoglie da una porta con un vero e proprio tappeto di bottiglie e bicchieri, la festa è appena iniziata con l'Encierro e i pamplonesi non si fanno pregare nel festeggiare il loro Santo .. i tori per fortuna nostra han raggiunto l'arena durante le prime ore del mattino, qualche minuto di corsa per le calle del centro cercando di scansare folli corridori che fanno a gara con queste povere bestie a chi resta in piedi, massimo rispetto per le tradizioni, ma la nostra posizione sulla corrida e su queste esibizioni vanno dalla parte totalmente opposta a quella di qualsiasi basco presente.
Attraversiamo il centro storico stretti in un corteo bianco e rosso migliaia di teste, migliaia di sciarpe rosse.. finiamo per non muoverci più per volontà nostra, la folla gestisce il passo di tutti e non è un muoversi conscio, è un onda unica che si muove a strappi.. e noi zainati a dovere prendiamo il posto di due persone a testa, perdendo l'agilità che avevamo ostentato nella prima parte di questa tappa, il corteo finisce per intrappolarci in calle Mayor, il santo guida a dovere tutto il traffico, una banda e si ferma ogni tre passi.. rischiano di uscir da Pamplona a notte fonda.
Controcorrente recuperiamo spazio e manovra, aggiriamo Calle Mayor e filiamo via paralleli al corteo sbucando alla testa dello stesso.. lo sorpassiamo e ci infiliamo in un mercato che la globalizzazione rende identico a qualsiasi latitudine oramai, riusciamo a guadagnare due posti a sedere e con un insensata voglia di festeggiare scialacquiamo venticinque euro in due bocadillos, un piattino di pimientos e due birrette, manco dal Sanesi per una Fiorentina.
Ore tredici, salutiamo San Firmino, Pamplona e la loro folle corsa mattutina, ci allunghiamo verso la periferia sud della città e prima di uscirne ci salutiamo.. ognuno col suo passo arriveremo a tappa senza forzare il ritmo dell'altro.
Ore 14 arranco verso Cizur Menor, ultimo avamposto di civiltà prima che il grano s'impossessi del resto che c'è, è un'atmosfera differente quella che mi accoglie adesso, Pamplona sembra lontana secoli, il primo pomeriggio mi presenta il conto di un sole arrogante che si allea con distese infinite di grano e un selciato bianco che riflette e aumenta il caldo percepito.
Alle 14:40 un'isola felice, un'oasi davanti a me.. una boscaglia che mi regala ombra e fresco ma faccio in tempo a realizzarlo che mi ritrovo di nuovo al sole.. comincia l'ascensione all'Alto del Perdono e i pensieri si affollano dentro e intorno a me.. sento bene la sete che mi aggredisce la gola, cerco di calmarla con piccoli sorsi rallentando il passo senza fermarmi, conosco fin troppo bene le soste post pranzo e conosco ancora meglio la fatica nel ripartire.
La salita verso Zariquiegui è dolce, ma non sembra aver fine come il grano d'intorno, nessun rumore mi accompagna verso la fine di questa tappa.. sento solo il mio respiro, i miei scarponcini che grattano il selciato e solamente ogni tanto vengo accarezzato da una leggera brezza che finisce per cullarmi amaramente con abbracci carichi di temperature degne dei deserti africani.. il mare giallo che mi ondeggia intorno mi spinge solo a continuare.. mollare adesso sarebbe quasi pericoloso, ma l'idea che questo sia solo l'antipasto delle tanto rammentate meseta che troveremo dopo Burgos rischia di appesantirmi scarponcini e umore.
Rischio la sosta nei pressi di un bivio, all'ombra di un unico albero insieme ad altri tre pellegrini che scaglionati ripartono lasciandomi unico protagonista a godermi la discesa che mi son lasciato alle spalle..  gli occhi si riempiono di panorami da cinematografo, i nervi si rilassano e il cuore finalmente pompa con regolarità facendomi arrivare vere e proprie secchiate d'ossigeno.
Cinque minuti di orologio e riparto, poche decine di metri e il paesino mi da il benvenuto prima con una fontanella che ho santificato in tre o quattro lingue, poi con il coro dell'immancabile chiesa e Calle Mayor che in cento metri inizia e finisce le proprie abitazioni, l'Albergue è li, poco più avanti rispetto alla chiesa che sembra aspettare solo me.. d'intorno il nulla.
Venti minuti e appare il prof.. anche lui provato ma soddisfatto, le camerate sono sfruttate in ogni loro angolo e sono esaurite in ogni ordine di posto, lo spazio vitale è ridotto al minimo indispensabile, ci scambiamo a fatica tra i letti a castello e il caldo del giorno sembra aver la meglio sulle temperature serali che non ne vogliono sapere di scendere. Patiremo la mancanza di ossigeno e la presenza di un caldo eccessivo stanotte lo sappiamo già.. e il sudore che ci conquista i centimetri di pelle appena usciti dalla doccia ne è la conferma. 
Gli unici tre tavolini presenti all'esterno dell'albergue sono in overbooking così ripieghiamo sulla saletta d'ingresso finendo per devastarci con una cena degna di un battesimo partenopeo.
Il bisogno di aria fresca e ossigeno ci spinge verso il più classico dei giri in paese, il silenzio e la pace regnano incontrastati e la passeggiatina post cena ci vede di rientro in pochi minuti, Zariquiegui è un vero e proprio pugno di case ma la birretta a chiudere la serata in vetta a questo mondo sperduto pochi chilometri dopo Pamplona fa la pace con la fatica che ci è costata questa tappa.

mercoledì 6 luglio 2016

Roncisvalle - Larrasoana

Ore 6, già svegli.. come la maggior parte dei pellegrini che coabitano con noi nel monastero..
Tanti sono già avanti nei preparativi, qualcuno dorme ancora, ma sono la minoranza.. scendiamo che è un brulicare di teste, bastoncini, zaini e scarponcini.. finalmente si parte, si respira cammino, pellegrinaggio.. libertà e pensieri che volano.. si respira equilibrio, ritmo naturale e si percepisce padronanza delle proprie giornate.. delle nostre mete, solo gambe, polmoni e cuore.. 
Cerco di entrare nei loro pensieri, per i più è la loro seconda notte sul cammino.. alcune dinamiche per noi sono conosciute, è un vero e proprio ripercorrere albe vecchie di un anno, ma tutti e due prediligiamo il profilo basso. 
Usciamo che è ancora nebbia e lasciare Roncisvalle e le sue due o tre posade con queste fotografie rende facile pensar a Carlo Magno, Rolando e alla battaglia della sua chanson, incocciamo poco fuori dall'agglomerato sul cartello che mi son sempre immaginato piantato al punto zero del cammino.. mancano 790km a Santiago e noi ne abbiamo già fatti 27, più i trecento e passa di luglio scorso.. foto di rito e ci incamminiamo paralleli alla statale, è un bosco di faggi e felci che rende ancora più umida l'atmosfera, usciamo dal bosco poco dopo un'oretta e il primo bar che incontriamo non ci vede poi così resistenti, entriamo e diamo il via alle nostre colazioni spagnole.. la tortilla si sprecherà vincendo di gran lunga le olimpiadi culinarie di questo cammino duemilasedici nei trecento km che ci dividono da Leon.
Nonostante la colazioncina per nulla leggera affrontiamo una pettatina degna di nota con un buon ritmo, attraversiamo un paio di paesini disegnati dalla disney tutti roccia e fiori e ci inoltriamo nuovamente in un faggeto che pare non aver fine, la discesa asfaltata ci fa entrare al vecchio borgo di Roncisvalle per poi lasciarci perdere in un abetaia tutta salita e pietre, l'incedere è da gara nonostante la pendenza, ma dobbiamo farci da parte per l'arrivo di un gruppo di ciclisti che gagliardi e sfrontati ci supera arrestando però la scorribanda pochi metri più avanti.. riusciamo quindi a riconquistare la testa del gruppo.. la salita è dura per tutti.
Ore 9:15, si scollina finalmente.. ed è sole.. mancano solo 14km a tappa, tutti di un selciato duro che fa godere polpacci e talloni.. finiamo col camminare sul piastrellato fino all'alto de Erro, un vero e proprio passo invaso da centinaia di ciclisti. Il sole oramai è a picco, sotto di noi neanche l'ombra e la nuova salita, infinita anche questa, sembra dipinta apposta per spezzare le gambe.. qualche metro di bosco in pari ci illude per poi farci rotolare a valle oramai allungati l'uno dall'altro su una discesa piena di sassi, lastricata appositamente per rendere più lenti tutti i movimenti.
Arrivo a Zubiri in solitaria.. passo un ponticino medioevale tutto di pietra e mi infilo in un alimentari.. ne esco con due peschine che sanno tanto di trofeo, non faccio in tempo a mettermi a sedere su una panchina impreziosita da qualche centimetro d'ombra che dal ponte appare la sagoma del prof.. due sguardi e ci ritroviamo pochi metri più avanti con una pseudo paella davanti agli occhi e due kg di ghiaccio sulle ginocchia.
Un'oretta scarsa e ripartiamo per Larrasoana, sono 5km oltre la nostra media, giusti giusti per abbreviare la prossima tappa.. Pamplona ci vedrà transitare belli rapidi a scansare tori e cerveza..
Mancano due km a tappa, il tracciato è facile.. nessun dislivello e mi sento in gran forma, decido di condividere la sensazione con Sergino:" Come ti è parsa questa camminatina post pranzo Delse? sinceramente.. sinceramente?.. sincer.. amente finisce per morirmi in gola, deglutisco, ritento, ma non mi esce proprio più.. il panico mi entra forte dentro, smetto di camminare.. piantato per terra più di un picchetto da campeggio guardo Sergino senza guardarlo.. le mani mi salgono automaticamente verso gli spallacci dello zaino, mentre lo sguardo scende cercandomi le mani.. è uno slowmotion che non finisce mai.. mi tasto tutto quello che avrei dovuto avere appeso al collo.. tutti tentativi a vuoto, della busta con le mappe e la credenziale non c'è traccia.. sento gli occhi che si spalancano intimoriti, la bocca si mura, tesa.. l'ansia se la ride, la vedo arrivare di corsa mentre esulta come Tardelli proprio qui in spagna qualche annetto fa.. è il momento suo e non me lo nasconde, puttana.
Riesco a far passare due o tre parole dalle labbra, ma Sergino sembra sconnesso:" che ti manca?".. 
Io:" la mappa e la credenziale Sergio.." e in un nastro cinematografico che mi scorre invisibile davanti agli occhi riavvolgo le due ore precedenti.. mi vedo mentre ordino la paella e mi rileggo le mappe.. la busta, tranquilla, se ne sta beata appesa alla sedia del bar a Zubiri.. dove l'ho lasciata..:" torno al bar.. ci provo.. ci vediamo a Larraosana"... Sergino annuisce e mi sparisce alle spalle.. mentre io contromano comincio il mio viaggio della speranza.
Macino i tre km appena fatti con la rabbia che fa da benzina per una velocità inaspettata, per due volte perdo il cappellino, non sto camminando.. corro, con 8kg sulle spalle.. a tratti volo, non tocco neanche terra.. lo zaino non lo sento più, le gambe viaggiano da sole e ogni pellegrino che mi s'infila in traiettoria si becca il buon camino di rito, ma niente più.. qualcuno arrischia qualche domanda, ma diobono filo come il vento e le parole si perdono per terra metri indietro.. 
Ogni curva mi nasconde Zubiri, ma ovviamente è solo la mia speranza rabbiosa.. senza credenziale posso dire addio agli albergues, i pensieri frullano via uno dietro l'altro, uno contro l'altro e in un andamento a strappi mi fanno accelerare ora per poi diminuire il passo, convincendomi che siamo tutti pellegrini.. nessuno si permetterebbe di farmi sparire il portadocumenti più importante che abbia mai avuto in tutta la mia vita.. ma la consapevolezza dura l'attimo di qualche metro, la rabbia contro me stesso, la mia sbadataggine e l'ansia si coalizzano e tirano giù i muri positivi soffiandoci leggermente con un sorrisino a chiudere che mi fa quasi male allo stomaco.
Finalmente vedo il ponte medioevale, con lo sguardo gli sono già oltre.. me lo mangio con passi degni di Gulliver e mi ritrovo il barrettino davanti agli occhi.. Mi fermo a riprendere fiato, l'apnea con la quale mi sono macinato questi ultimi tre km viaggiava col pilota automatico, quaranta minuti di numero nonostante i 25km di stamani.. l'eroismo l'ho reinventato io adesso e sento bene che l'impianto di irrigazione comincia a grondare sudore come fossi sotto una doccia.
Mi presento a una delle ragazze che ci aveva servito e riesco a non farle capire niente di quel che vorrei chiederle.. i monosillabi interrotti dal respiro profondo e rantolato in un misto ingleseitaliano non mi sono d'aiuto, abbozzo un sorriso, sventolo bandiera bianca.. saluto la ragazza e mi carico la responsabilità sulle spalle, vado io a vedere al nostro tavolo.. mi dividono forse quattro metri, altri due tavoli tra di noi.. L'ansia mi veste da Cristian Vieri sul dischetto di quel maledetto rigore contro gli scozzesi, l'ottimismo è a qualche metro che fa rapidamente cartella, a testa bassa, non vuol vedere il pessimismo che danza una macarena di gruppo con l'ansia e la fatica.. l'arbitro fischia e io arrivo al tavolino.. i due pellegrini mi guardano interrogativi, ma che ne sanno loro del dramma che sto vivendo.. la busta non c'è più.. il tiro vola alto verso la traversa, gli occhi mi si chiudono, la testa mi si piega indietro e mi sento scendere le gambe verso il terreno mentre scorgo sul bordo del muricciolino poco più avanti una cordicina familiare alla quale si tiene eroica la mia busta con le mappe e la credenziale.. traversa interna e goal!.. Si! si!.. fanculo.. le forze mi abbandonano.. il sudore è sparito e il pallore me lo sento scendere addosso come il pennello di un imbianchino.. afferro deciso il secondo trofeo della giornata e mi dirigo alla fontana che mi sta chiamando da quando sono arrivato, una vera e propria doccia e il meritato relax mi vede stremato ma felice mentre invento un nuovo slang con un irlandese appena conosciuto.
Ore 1630 riparto per la seconda volta mentre mi squilla l'Iphone, messaggio del prof:"l'hospitalero chiede notizie di te... dove sei?".. "ci sono!" vorrei gridargli oltremodo esuberante per la missione compiuta.. altro ponte e Larrasoana mi vede entrare trionfante un'oretta e mezzo dopo la battaglia di Zubiri, fa niente se ho regalato dieci km al vento.. 
Ritrovo l'albergue con il prof che da buon hermano impietosito dalla mia condizione si prende cura del mio bucato mentre lavo via fatica, sudore e dolori con una doccia che rasenta l'ora.
La cena oramai è a un passo, entriamo rapidamente in un supermercatino improvvisato proprio di fronte alle nostre camere.. due merendine e due succhini, la colazione di domani è già pronta.
Ci ritroviamo a tavola con un americano, un tedeschino e un francese che per non smentirsi ha già sulle gambe 1400km.. da dove cazzo partono lo sanno solo loro.. e Sergino si scioglie in un brodo di giuggiole sciorinando una lingua d'oil che l'oltralpe sembra apprezzare.. il tedeschino tiene banco, l'età è dalla sua.. traduce mille lingue e fa da ponte col tavolo accanto.. un vero e proprio showman che in un impeto di nazionalismo prevede sicuro una Germania in finale all'europeo francese tuttora in corso.. il dirimpettaio del prof non è così d'accordo, l'italietta di Conte è fuori dai giochi e il francese ripaga il teutonico con un sorrisino degno del miglior Fernandel.
Ci ritroviamo da bravi maschi coalizzati nel tifare Galles nella semifinale contro il Portogallo.. ovviamente Ronaldo avrà la meglio.. ma a noi non è dato saperlo, i supplementari prevederebbero una forma fisica invidiabile e una sveglia che non punta le 6..